Prosegue anche questa settimana la proposta in decine di sale italiane del capolavoro rosselliniano Roma città aperta, per il progetto Cinema Ritrovato al Cinema. Il restauro di è stato realizzato dal laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna a partire dal negativo originale ritrovato nel 2004 e conservato presso la Cineteca Nazionale. Il negativo originale del film si credeva perduto. La leggenda voleva che il film fosse stato girato su stock di pellicola trovata in giro, scaduta, comprata al mercato nero. Quando alla Cineteca Nazionale, nel 2004, riemerse un negativo, si verificò che si trattasse in effetti di “frattaglie” di pellicola di diversa provenienza e ciò fu la conferma di essere tornati in possesso proprio del negativo originale. Il lavoro di schedatura di questo negativo portò a un primo restauro utilizzato come riferimento per il nuovo restauro realizzato a uno standard digitale di qualità ancora più elevata (4K), a cura della Cineteca di Bologna, della Cineteca Nazionale e di Cinecittà Luce. Ebbene, pescando ancora dall’antologia critica del film, ci piace ricordare una fonte non troppo nota, forse perché anglofona, sul film. Citiamo le parole di David Forgacs, professore di storia culturale italiana nel Dipartimento di Italiano della University College of London, dove dirige il Graduate Programme in Film Studies. Forgacs ha insegnato alla Royal Holloway University of London, alla Cambridge University e alla Sussex University. Il suo principale campo di ricerca è la storia della cultura e dei media nell’Italia moderna. Nel volume Rome Open City (Roma città aperta), BFI, London 2000, scrive, con attenzione analitica, storiografica e sociologica:

“Il film si pone al servizio di una funzione mitica, comunicando l’impressione di un’unità d’intenti fra i diversi partiti politici e le distinte fazioni all’interno della Resistenza […] ed è così che il modello particolare di unità del fronte popolare rappresentato dal film, già mitico quando Roma città aperta venne realizzato, sarebbe divenuto una fonte di nostalgia per gli spettatori successivi. Il mito patriottico presentato nel film fu un esempio della produzione ampiamente diffusa di tali miti, alla cui edificazione contribuirono molte altre pellicole e testi neorealisti, come anche numerose memorie e testimonianze storiche della resistenza. Tutte assieme risposero al forte bisogno collettivo di cancellare porzioni del passato, commemorandone altre, e di produrre una memoria positiva della guerra, capace di scacciare i ricordi dolorosi o traumatici […]. Un film come Roma città aperta si adatta a questo genere di retorica da molti punti di vista. Il suo stile è volutamente sobrio. Cerca di smuovere gli spettatori, di fare in modo che detestino il male, persuadendoli della verità di ciò che narra e della giustezza della causa che sostiene […] la volontà di mostrare la verità senza alcun abbellimento produce una testimonianza visiva del tempo di guerra a Roma che sotto molti aspetti risulta attendibile. Ma produce anche un resoconto di notevole valore storico su ciò che significhi vivere nella città occupata e dà l’idea di come lo spazio e il potere interagissero all’interno di essa. Al contempo, la rappresentazione che il film offre dello spazio è pensata in modo tale da essere funzionale a un insieme di opposizioni schematiche sul piano morale, e il bisogno di produrre una ‘memoria positiva’ spinge a operare un trattamento selettivo dei fatti storici, in cui alcuni di essi occupano una porzione preminente, mentre altri vengono relegati sullo sfondo o sono del tutto cancellati”.

David Forgacs