La sezione “Rarità del cinema italiano del dopoguerra” si pone l’obiettivo di portare a conoscenza del pubblico ciò che è poco visto o addirittura dimenticato, costruendo esperienze rare tramite la visione di copie originali, come questi tre cortometraggi, più unici che rari. Gustavo Gamna, direttore dell’ospedale psichiatrico di Collegno (all’epoca il più grande in Italia con quasi tremila ospiti), non è uomo di cinema, ma prova a vestirne i panni: decide di filmare i propri pazienti non limitandosi a un lavoro di mera documentazione, ma ricerca una messa in scena fortemente simbolica e dimostra buona conoscenza del mezzo cinematografico. Sono state rinvenute una decina di pizze in Super8 e in 16 mm e il Cinema Ritrovato ne ha scelte tre, considerate le più meritevoli di visione.

Si comincia con L’Eliogabalo ritrovato, cortometraggio di dodici minuti, nel quale il regista osserva i propri pazienti talvolta voyeuristicamente, tramite soggettive che spiano in maniera timida e incerta il comportamento e le abitudini dei malati. La macchina da presa si muove in modo brusco, c’è un largo utilizzo dello zoom, talvolta rapido altre volte più dolce: è un tentativo di entrare nella tortuosità della schizofrenia facendo  del cinema. L’elemento che salta maggiormente all’attenzione è la sonorità disturbante che immerge lo spettatore in un mondo a sé stante, ovattato e abbandonato al proprio destino.

Si procede con Commento per decidere, in antitesi rispetto al precedente. Qui c’è un ritmo molto più calmo, rilassato, sia a livello tematico che formale, l’occhio del regista si muove in maniera dolce, i movimenti degli attori sono lenti e rilassati, la musica suggerisce tranquillità. Ci troviamo “in un atelier di arteterapia, tra i disegni e le composizioni poetiche dei pazienti (“gli spicchi dell’arancia hanno la stessa curvatura dei denti”)”. Gamna sembra voler riflettere sui benefici che le composizioni artistiche possono avere sullo schizofrenico e ne informa lo spettatore mentre compie un viaggio in automobile.

Il terzo e ultimo cortometraggio proiettato s’intitola Metaprogetto e ritorna a calcare la strada del primo, abbandonando la tranquillità e catapultandoci in un mondo ai limiti dell’infernale. È l’unico dei tre a colori e del quale non ci è dato sapere l’anno di realizzazione. Fa un largo uso della metafora, il mondo che mette in scena è, come ne L’Eliogabalo ritrovato, abbandonato al proprio destino, immagini degradanti di discariche e rifiuti aggiunte all’inquadratura di un cane rabbioso rinchiuso in un recinto si fanno simbolo della condizione del malato e dell’emarginazione e disinteresse della società contemporanea verso la malattia. Il tutto sostenuto nuovamente dalla potenza straniante e alienante del sonoro, vero valore aggiunto del film.

La visione di queste pellicole è un’esperienza che va vissuta con la massima attenzione, cercando di farsi trasportare da immagini e suoni in un mondo che ci sta accanto e che spesso si conosce poco. Sono tre opere dure ed efficaci che solamente uno psichiatra con una buona conoscenza del mezzo audiovisivo poteva mettere in piedi.

Stefano Careddu