Vincitore del Grand Prix al quinto Festival Di Cannes e considerato da molti come il capolavoro di Renato Castellani, Due soldi di speranza racconta la vicenda di Antonio, giovane e aitante ragazzo di un borgo ai piedi del Vesuvio. L’ambientazione è il secondo dopoguerra, il ragazzo, dopo il congedo da militare fatica a trovare un lavoro e quando lo trova fatica a tenerselo a causa dell’invadenza della madre e del travagliato amore con Carmela, il cui padre non acconsente al matrimonio per via dell’indigenza del giovane. Antonio è audace, diverso dai coetanei, prova a sbarcare il lunario in ogni modo possibile, facendo i lavori più astrusi e impensabili che però gli permettono di guadagnare soldi utili a regalare una dote alla sorella e cercare di costruirsi un futuro felice con l’amata Carmela.

Il Film racconta il problema meridionale nel secondo dopoguerra e Castellani, autore non sempre amato dalla critica, dipinge i giovani in chiave vitale e picaresca conferendo al film il tono commediale che caratterizza il suo cinema. La rappresentazione della società contadina napoletana risulta molto divertente, grazie anche all’estro dei personaggi che sono a volte estremi, contribuendo alla costruzione di sequenze esilaranti, senza  mai però varcare il confine che li renderebbe macchiette o personaggi stereotipati.

Antonio ama la vita, di un amore forte e spassionato, sembra che nulla al mondo possa distoglierlo dal perseguire i propri sogni, anzi ogni volta che cade si rialza più forte e con più energie di prima. Va a lavorare nella tenuta del parroco, viene licenziato perché fa parte di un gruppo di giovani comunisti a Napoli. Si rialza, migra in città e il suo impiego diviene correre tra un cinema e l’altro con una bicicletta per consegnare le pizze dei film (sequenza che Giuseppe Tornatore sembra omaggiare in Nuovo Cinema Paradiso).

La padrona di questi cinema ha un figlio che ha costante bisogno di trasfusioni e Antonio, giovane prestante si fa dissanguare per il bene del bambino. Questa sequenza può essere vista come simbolo di una classe borghese che sfrutta e succhia (letteralmente) il sangue del proletariato e non è la sola che sfrutta espedienti di questa natura per trasporre in immagine la condizione opprimente della società povera di paese. Castellani mette in scena quadretti semplici, dipinge una realtà sovraffollata e affamata facendo ridere di gusto il pubblico in sala, ma allo stesso tempo evidenzia gli aspetti d’arretratezza sociale e tecnologica del meridione d’Italia.

L’autore ligure fu tacciato di essere l’avanguardia del neorealismo rosa e quindi visto come una sorta di traditore del neorealismo, ma questo film reca in se alcune caratteristiche proprie di un certo cinema neorealista. Il finale è un atto di ribellione, Antonio non ci sta più, rompe le regole e il regista gira una scena esplosiva in cui la macchina da presa sta in mezzo alla folla e si muove con lei come se fosse la soggettiva di un abitante del paese. La folla si dirige verso la chiesa per il matrimonio e la macchina da presa si alza verso il campanile lasciando intendere un lieto fine.

Stefano Careddu