Billy Lynn – Un Giorno da Eroe, l’ultima fatica di Ang Lee, a 4 anni di distanza dal suo Vita di Pi, vincitore di ben 4 premi Oscar (regia, fotografia, effetti speciali e colonna sonora), è un ritorno d’autore a tutti gli effetti.
Tratto dal romanzo rivelazione del 2012 È il tuo giorno Billy Lynn dello statunitense Ben Fountain, il film porta sul grande schermo la vicenda del soldato semplice Billy Lynn che, insieme ai commilitoni della Squadra Bravo, affronta gli orrori della Guerra in Iraq, trasformandosi in eroe nel tentativo di salvare la vita ad uno dei suoi. Il premio per tale azione di coraggio, è una sorta di Victory tour attraverso conferenze stampa, viaggi in limousine, partite di football nel giorno del Ringraziamento, ammiccanti cheerleader e concerti con effetti speciali stratosferici.
La prospettiva scelta dal regista per narrare la storia di Billy Lynn, ma soprattutto per dare un colpo alla mitizzazione della guerra tipicamente americana, sono gli occhi del soldato 19enne. Per circa due ore lo spettatore è catapultato all’interno della storia attraverso lo sguardo di Billy e, senza seguire il corso naturale degli eventi, ma saltando di flashback in flashback, con una narrazione frammentata da una sorta di flusso di coscienza emotivo a cuore aperto.
La grande carica emotiva del film è dunque data anche dal sentimento di incombenza provato dallo spettatore, che sommerso dalla grande quantità di flashback sovrapposti, viene riportato continuamente in Iraq proprio nei momenti in cui la spettacolarizzazione della guerra raggiunge il picco del suo stridore. Non un tempo lineare dunque, ma un’infinità di tempi possibili narrati, o meglio, il passato/ la guerra, il presente/ il giorno da Eroe e un possibile futuro. Ancora da scegliere. In realtà il tempo in cui viene agita l’azione del film è molto più simile ad un cyber tempo, un tempo interconnesso nella contemporaneità di più finestre interattive.
Del resto Billy Lynn: Un giorno da eroe, è stato concepito proprio per questo, per garantire un’esperienza cinematografica totalmente coinvolgente: il direttore della fotografia (John Toll) ha scelto di girarlo in 3D, digitale 4K (ovvero in Ultra HD, circa quattromila pixel orizzontali di risoluzione) e 120 fotogrammi al secondo: scelta davvero originale per un’industria affezionata alla consuetudine dei 24fps. Sono queste le innovazioni che permettono agli spettatori di “entrare” nella storia e assumere il punto di vista di Billy.
Per la parte del protagonista Ang Lee ha voluto l’attore inglese Joe Alwyn, londinese classe 1991 al suo esordio su grande schermo: una prima volta sicuramente impegnativa, che ha saputo affrontare con eccezionale realismo. Steve Martin ha raccontato che per diverse settimane, durante le riprese, egli stesso era rimasto convinto che Alwyn fosse americano: in realtà l’attore inglese era stato capace di imitare perfettamente l’accento del suo personaggio.
Ang Lee fa appello, in questa pellicola più che mai, al cuore del suo spettatore. L’obiettivo è senza dubbio, ancora una volta, quello di emozionare, centrare il nucleo di affettività che ognuno di noi usa per orientarsi nel suo personale discernimento tra il male e il bene. Ang Lee, attraverso un’ironia dissacrante e lo humor a tratti nero che deriva dal testo di partenza, ci fa vedere con occhi vergini l’orrore della guerra e non solo, ci mette di fronte ad una brutalità ancora peggiore, che è quella della spettacolarizzazione di essa e dei suoi protagonisti, per fini di lucro. Billy Lynn nel suo giorno da eroe, viene lanciato, insieme alla squadra con cui condivide un sentimento di profonda fratellanza, in pasto ai coccodrilli di un circo mediatico che non conosce limiti all’assenza di tatto o di rispetto per chi ancora sta elaborando un lutto ed un disturbo da stress post-traumatico di guerra.
L’eroe nato sull’arida terra dell’ Iraq, versando il sangue del nemico in un corpo a corpo bestiale che non ha lasciato il tempo per le presentazioni (come ironizza Billy durante la conferenza stampa), si sgretola su un palcoscenico illuminato dai fuochi pirotecnici e accompagnato dalla seduzione musicale delle Destiny’s Child, in preda al panico da prima volta, lanciato inconsapevolmente nel mondo dello spettacolo e dell’informazione peggiore, come simbolo di un’America guerrafondaia e incosciente, convinta di combattere una guerra simbolica tra il male e il bene, per l’intera umanità. Dogma del quale egli stesso, non è per nulla convinto.
Ecco perché il film, così come il romanzo, “è uno spettacolare tour de force dentro a quello specchio deformante che sono i media in tempo di guerra (Marco Rossari, Wired)”. Insieme al protagonista cerchiamo di dare risposta ad una serie di paradigmatici e assurdi interrogativi, per discutere dal suo interno l’inaccettabile assioma della guerra, lo stesso che in una lettera di Einstein a Freud (1932) il grande scienziato tentava di smontare ponendo a Freud la domanda a cui tutti vorremmo saper rispondere “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”…purtroppo la risposta di Freud non lasciava grandi speranze, facendo riferimento a due grandi e originarie pulsioni cui l’uomo è soggetto quella al diritto e quella alla violenza. La prima porta gli Stati a voler difendere la propria libertà, la seconda traduce ogni guerra in un’occasione per promuovere interessi personali e ampliare la rete di affari mercenari.
Le domande di Billy o rivolte a Billy da qualcuno dei personaggi sono le nostre domande: “Cosa ti ha spinto ad arruolarti soldato? ”; “Hai mai ucciso un uomo? Cosa si prova? Come passate il tempo al fronte? Cerchiamo solo di arrivare tutti interi al giorno dopo”; “Dici che mi converrebbe arruolarmi ? / La verità è che laggiù fa schifo/ Anche il lavoro che faccio qua fa schifo, sempre meglio sarebbe arruolarsi. Non c’è scelta.”
Così Billy ai nostri occhi è un eroe, ma non perchè ha ucciso uno dei “cattivi”, Billy è un eroe perchè uccide per la sua nazione ed è ancora vergine, è un eroe perchè combatte una guerra che non gli appartiene, una guerra in cui nemmeno crede, per il solo fatto di non avere scelta. Come gli suggerisce un sorprendentemente credibile Vin Diesel/ Sargente Shrum prima di morire, “non devi farlo per Dio o per la Patria ma per qualcosa più grande di te”, e Billy lo fa e arriva fino in fondo perchè “quando il proiettile ti raggiunge ormai è già stato sparato”. Come a dire, appunto, non ha scelta. La sua casa ormai è diventata la guerra. A casa in America esiste solo in quanto eroe, la sua vita da 19enne già non gli appartiene più. Se fuggisse per amore con la sua cheerleader abbandonando il fronte, non sarebbe più nessuno per nessuno. Lo spaesamento di Billy è il nostro spaesamento. E Ang Lee lo ha creato sbattendoci in faccia per tutta la pellicola un eccezionale senso di verità (restituito dalla definizione altissima) contemporaneamente in lite con l’enunciato apparentemente supportato dal film: la guerra è giusta.
Billy è abituato a dire alla gente quello che vuole sentirsi dire e a fare ciò che la gente si aspetta che lui faccia, così accetta di vivere il paradosso estremo: essere premiato per aver vissuto il giorno più brutto della sua vita. Un giorno di guerra in Iraq, il giorno in cui uccidere un uomo è stato come uccidere se stesso.
Francesca Divella