“Sono stata un’attrice muta, un corpo. Appartenevo al mondo dei sogni”, così parlava pochi anni fa di se stessa e del suo ruolo nella serie di Emmanuelle Sylvia Kristel, scomparsa ieri a soli sessant’anni. A riprova che le forme della cinefilia non riguardano solo i grandi film, ma l’immaginario cinematografico nella sua dimensione passionale, possiamo tranquillamente ascrivere Sylvia Kristel a questo spazio. Molti furono i dibattiti tra femministe, infinite le riflessioni e le controversie sul ruolo liberatorio o meno di Emmanuelle – e della grande rivale Corinne Clery di Histoire d’O – qui ci basta ricordare che con quei film nasce il terrain vague tra erotismo e pornografia, lo statuto incerto di tante pellicole d’imitazione (i sequel apocrifi) tra circuito normale e XXX. E pensare che nel primo Emmanuelle di Just Jaeckin, 1974, non c’era nemmeno un nudo integrale, come ricorda Gérard Lenne nel suo bel volume Le sexe a l’écran, leggibile nella Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca.