A trent’anni dalla scomparsa, la Cineteca di Bologna e Cinefilia Ritrovata ricorderanno oggi la figura di Enzo Ungari, il critico “scapigliato”, alle ore 18 presso la Biblioteca Renzo Renzi. Ci sarà una tavola rotonda coordinata da Olmo Amico e Roy Menarini. Interverranno Adriano Aprà, Claudio Bisoni, Rinaldo Censi e Roberto Chiesi. Enzo Ungari fu forse l’esempio più fulgido della nuova critica tra anni Settanta e Ottanta. Amico e studioso di Bertolucci, esperto di Andy Warhol, attento al cinema d’autore ma curioso indagatore dei fenomeni popolari, Ungari ha segnato più di una generazione. Ha anche analizzato i tabù nel cinema, mentre di quelli critici si era liberato presto. Per ricordarlo, copiamo l’idea del blog Unopercento, che aveva ripubblicato un vecchio intervento di Ungari dedicato a un film che quest’anno compie 40 anni, il celebre Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli. Ungari scriveva (su “Gong”, n. 1, 1976)

“Ne hanno parlato tutti. Raramente un film ha suscitato tanta eco nei mezzi di comunicazione di massa e trattandosi di un film realizzato al di fuori dell’industria, non destinato almemo per ora alle sale pubbliche, la scena è abbastanza nuova da giustificare alcune riflessioni e questa testimonianza.
Cominciamo dall’inizio. Un regista di film sperimentali, Alberto Grifi, ex principe dell’underground italiano, vittima della repressione durante il periodo più cupo della caccia ai fumatori di hashish, viene chiamato un giorno da un attore, Massimo Sarchielli, compagno di strada e di piazza anche lui, a cavallo fra Italia e Stati Uniti, stanco di fare il cinema e il teatro tradizionali. Sarchielli ha conosciuto a Piazza Navona Anna, sedicenne drogata e incinta, fuggita da cento riformatori, sopravvissuta a quindici tentativi di suicidio, oscillante continuamente tra depressione e catatonia. La ospita, si prende cura di lei, comincia a interessarsi a lei. Sarchielli decide di fare un film, a partire da un brogliaccio di appunti. Grifi accetta di collaborare, come tecnico e come poeta. Dopo qualche tempo abbandonano la cinepresa e un certo numero di idee precostituite. Cominciano a registrare col videoregistratore, a catturare anche le occasioni, i momenti imprevisti, ad allontanarsi dalla traccia che si erano prefissi di seguire.
Anna partorisce. Vincenzo, che dava una mano alla realizzazione, si è innamorato di lei e vuole occuparsi del bambino. Anche lui è entrato a far parte del film, ne è diventato un personaggio. Mano a mano che questo colossale psicodramma di cui tutti sono attori e autori al tempo stesso, va avanti, il rapporto fra Massimo e Alberto si fa più difficile, complicato, contraddittorio. In breve si allontanano uno dall’altro.
Anna se ne va: abbandona tutto, compreso il figlio e Vincenzo. L’ultimo nastro è proprio questo: Vincenzo solo che giudica Anna e il suo rifiuto che è diventato rifiuto della vita, della responsabilità e, in ultima analisi, della libertà. Ma anche Anna (il film) rischia di restare senza padre e senza madre. Per la frattura che si è creata tra loro, Massimo e Alberto si sono allontanati dal materiale: 11 ore di nastri.
Poi arriva un’occasione: Ulrich Gregor, che organizza una manifestazione all’interno del festival di Berlino, viene messo dal gruppo di Filmstudio, in grado di visionare il materiale e preso dall’entusiasmo offre il denaro sufficiente per trasferire su pellicola 16 millimetri almeno una parte. Anna diventa un film di 3 ore e 45 minuti, qualcosa fra la sintesi e l’antologia di quel flusso di avvenimenti più vasto che è contenuto nei nastri.
Arriva Venezia. Gli amici di Anna sono diventati tanti e la presentazione del film è sapientemente orchestrata. La stampa ne è entusiasta, compresi quei critici che giudicano Jodorowsky il massimo dell’avanguardia consentita. Gli equivoci attorno al film si addensano sempre di più. Anna viene esaltato, ma per ragioni sbagliate. Sarchielli, a ragione, si sente messo da parte. Grifi, che lo voglia o no, diventa per chi sta a Venezia l’autore del film. Il trionfo veneziano di Anna aumenta le difficoltà tra i due.
Filmstudio si offre di proiettare il film in una nuova sala, lo Studio 2, che è nata proprio per dare spazio a quel cinema che è solitamente emarginato.
Il film esce ed è visto da diverse persone per 4 settimane consecutive, a sala piena. I giornali di Roma gli dedicano lo spazio che di solito si riserva al Padrino o a Lo Squalo. Paese Sera parla di Griffith, Ejzenstejn, Rossellini e Godard. Cosulich scrive: «Si dice spesso, al sopraggiungere di un film memoriale, che esso ha la stessa importanza avuta a suo tempo da La corazzata Potemkin, o dal Caligari, o da La nascita di una Nazione, o da Roma città aperta o da Fino all’ultimo respiro. Di fronte a Anna questi paragoni non tengono. Si potrebbe, al più, confrontarlo con L’arrivo del treno alla Ciotat dei fratelli Lumiérè, cioè con l’atto di nascita del cinema.»
Alla fine il film è stato tolto, per un timore eccessivo di un possibile problema legale, ma anche per la frattura ormai profonda fra Grifi e Sarchielli.
Al di là del suo risultato poetico, se Anna è diventato un caso così importante sulla scena morta del cinema italiano è per la profonda trasformazione che essa fa subire al concetto di film e per la forza con cui fa accettare a un pubblico relativamente largo, in ogni caso non di specialisti, questa trasformazione.”