Ancora in programmazione al Lumière il Turner di Mike Leigh. Eccone due letture da parte di Chiara Maraji Biasi e Barbara Monti. Nei prossimi giorni, un ventaglio di articoli su Birdman, anch’esso proposto in versione originale con i sottotitoli. A seguire, i due approfondimenti.

Turner è noto come “il pittore della luce”, per l’uso materico del colore, che fa diventare la luminosità elemento tangibile nei suoi paesaggi e nelle sue marine. Il film di Mike Leigh propone un’immersione nella sua pittura grazie a una fotografia brillante e luminosa, a cura di Dick Pope, collaboratore di lunga data del regista. Lo schermo si irrora di tonalità pittoriche, la luce di Turner inonda la visione del film. La narrazione si concentra sugli ultimi venticinque anni di vita del personaggio, raccontati in piccoli frammenti, alla ricerca di una descrizione dell’essenza del pittore. Turner viene presentato a tutto tondo, nella vita privata e pubblica, nell’arte e nelle passioni, nei pregi e nei difetti, tramite brevi racconti che non si chiudono mai in maniera determinata.

La storia comprende un arco di tempo limitato, da quando Turner, oramai pittore affermato, torna dai suoi viaggi, fino alla fine della sua vita, che coincide con un momento di rinnovamento del suo stile. Un mosaico di storie e di personaggi in cui si incrociano figure differenti. Dal padre William, attento assistente del figlio, al giovane critico d’arte John Ruskin, appassionato dell’opera di Turner e strenuo difensore del suo stile. Dal pittore fallito Benjamin Haydon a un arrogante John Constable. Dall’ex moglie incattivita, alla nuova compagna, la vedova Booth, l’unica con cui il protagonista sembra riuscire a vivere una sorta di intimità. Tra questi spicca la figura di Hanna Danby (Doroty Atchinson), la serva di casa e amante occasionale di Turner. Il suo personaggio, quasi privo di battute, si caratterizza per gli sguardi fissi e vuoti, sgraziati e al limite del grottesco.

Tutti i volti dei personaggi sono veri ed espressivi, privi di abbellimenti e trucco, presentati in un quadro evocativo di metà Ottocento. Timothy Spall presta la sua fisicità ingombrante al protagonista. Turner diventa un uomo dalla corporeità brutale e animalesca, i movimenti sgraziati, il passo pesante, capace di comunicare quasi solo a grugniti e sbuffi. Turner è una persona anaffettiva, che solo con il padre e la vedova Booth riesce ad avere un rapporto umano. In un quadro che sembra lasciare poco spazio alla vita artistica, questa esce prepotentemente nel taccuino su cui il pittore appunta con ansia vitale i suoi schizzi, nell’aggressività con cui sputa su una tela, nell’istintualità della pennellata.

Il film affronta il mondo della pittura in un modo originale. Ai quadri non viene lasciato il ruolo da protagonisti e restano solo sullo sfondo, se non nelle imponenti mostre della Royal Academy of Arts o negli incontri con critici e appassionati. I quadri sono vissuti intensamente, grazie al continuo racconto dei viaggi e delle lunghe passeggiate di Turner. Si viene condotti nel mondo della sua ispirazione, nel momento della nascita delle sue marine e dei suoi cieli, nel riconoscimento dell’elemento luminoso che li attraversa. La vera protagonista è la fotografia che tenta di restituire la pittura di Turner sul grande schermo, culminando nella sequenza in cui il quadro del pittore si confonde con la natura, in un momento di impossibile distinzione tra arte e realtà. Imitando lo stile del pittore, il regista ci immerge in un quadro in movimento.

Chiara Maraji Biasi

 

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Le prime visioni di questo inizio 2015 hanno senz’altro un minimo comune denominatore: il racconto biografico. Dopo The Imitation Game e La Teoria del Tutto, è la volta di Turner, un racconto di vita che a differenza dei due sopracitati non si colloca in ambito scientifico, ma nel mondo dell’arte. Mike Leigh sceglie di raccontare gli ultimi 25 anni del più celebre paesaggista inglese, William Turner, concentrandosi non solo sull’aspetto artistico, ma illuminando anche dettagli più personali della sua storia. Il regista ci mostra tanti frammenti della vita di Turner: dal suo affettuoso legame col padre, al problematico rapporto con la madre delle sue figlie, dalle relazioni non sempre facili con gli altri artisti dell’epoca, al suo vincolo inscindibile con la natura.

Leigh per vestire i panni di Turner sceglie l’attore britannico Timothy Spall, proseguendo quindi un sodalizio che li vede collaborare insieme per la quarta volta. La performance di Spall, vincitore al Festival di Cannes per la miglior interpretazione maschile, dà corpo a un film dai ritmi lenti e riflessivi, che rimane tutto sommato all’interno dei canoni del film biografico tradizionale. I momenti più affascinanti sono sicuramenti quelli che vedono la contrapposizione dell’uomo, rappresentato da Turner, e la natura, in tutta la sua selvaggia e perturbante bellezza. La fotografia dai toni lievemente seppia di Dick Pope e la scenografia di Suzie Davies rendono giustizia agli scenari mozzafiato nei quali Turner si immerge per prendere ispirazione.

La vera protagonista dei paesaggi osservati da Turner, che si tratti di una tempesta in mare aperto oppure di verdi vallate, è sempre una: la luce. Col passare degli anni vediamo come il pittore nei suoi quadri si distacchi sempre di più dalla forma, per arrivare a rappresentare la sua personalissima visione della luce sulla natura. Sembra che Turner abbia pronunciato poco prima di morire le parole “The sun is God”, come a voler dare un’ultima solenne conferma della convinzione che la luce fosse un’emanazione dello spirito divino. Il progressivo distacco dai criteri pittorici dell’epoca, unito a metodi decisamente anticonvenzionali (per dipingere usava anche alimenti come il tuorlo delle uova o marmellate) conferivano a Turner un’aura di eccentricità non sempre apprezzata dai suoi contemporanei. Leigh ci mostra un uomo animato da una brama incontenibile di osservare e catturare su tela la realtà, anche quando si trova ormai in punto di morte.

“Il colore è contradditorio” afferma Turner durante il film, come a dire che niente è così come lo vediamo, ma ci sono sempre sfumature nascoste e inaspettate. La contraddizione, in parallelo, caratterizza anche l’animo del pittore della luce: un uomo dalla personalità complessa, capace di essere nel contempo estremamente burbero e sensibile. Spall è bravo nel rappresentare questo orco dalla schiena un po’ curva, tanto scorbutico da guadagnarsi per assurdo la simpatia del pubblico in sala, tra un grugnito e l’altro. Ciò che emerge non è quindi un film che mira all’esaltazione dell’artista, ma piuttosto il ritratto di uomo in cui luci e ombre convivono in maniera burrascosa, dando vita all’innegabile genialità propria di Turner.

Barbara Monti