La presentazione del bellissimo volume L’avventuriera di Montecarlo di Joseph Roth, curato da Leonardo Quaresima, avviene nel contesto più adatto, visto che lo scrittore austriaco parla, nei suoi scritti, di Harold Lloyd, Buster Keaton, Michael Curtiz e molti altri protagonisti di questa XXIX edizione del Cinema Ritrovato. Si tratta di un volume di Adelphi, che raccoglie una selezione dai testi che Joseph Roth dedicò al cinema, suddivisi in quattro sezioni – feuilleton, “recensioni”, “critica militante”, e “teoria del cinema” – talvolta forse arbitrarie, per ammissione dello stesso curatore, ma che hanno l’indubbio pregio di suggerire percorsi e punti di attenzione in un corpus per sua natura frammentato, e costituito da elementi a volte brevissimi. Le “recensioni” colpiscono per la loro libertà e talvolta sferzante sincerità nello stroncare i film che Roth trova troppo lenti, noiosi o pretenziosi, siano essi I Nibelunghi di Fritz Lang, Michael di Dreyer o la nostra Messalina di Enrico Guazzoni; ma Roth sa anche entusiasmarsi per La strega di Benjamin Christensen, per L’ultima risata di Murnau o per Nanuk l’eschimese di Robert J. Flaherty, dimostrando in questo caso un interesse per il cinema documentaristico o per le riprese di attualità che si ritrova in più di un testo e che arriva al punto di fargli dimenticare il film che queste ultime accompagnano (L’avventuriera di Montecarlo del titolo); e brevi ma acuti confronti tra Max Linder e Charlie Chaplin, e tra quest’ultimo, Harold Lloyd e Buster Keaton, testimoniano il suo apprezzamento per i film comici.
Ancora più interessanti e personali sono le osservazioni di costume, i veloci bozzetti che Roth dedica alle figure e alle situazioni del cinema del proprio tempo, divi, tecnici, spettatori; e alcune osservazioni teoriche, quali quelle sulle possibilità pedagogiche dei cinema o sulla musica e in generale sull’uso del suono nei film, che se sono legate a un preciso momento storico dell’evoluzione del medium rivelano una consapevolezza dei suoi meccanismi delle sue potenzialità ben superiore a quella del comune spettatore.
È coraggiosa ma molto appropriata la scelta di chiudere l’ultima sezione, quella dedicata alla “Teoria del cinema” con un lungo estratto di L’Anticristo che, con il titolo “Hollywood, l’Ade dell’uomo moderno” legge il cinema, e quello americano in particolare, come inferno della modernità, popolato di ombre divenute immortali ancora in vita, doppi che si moltiplicano all’infinito, palme come monumenti in costante spostamento, e guerre come spettacoli in una serie di immagini e suggestioni che a distanza di parecchi decenni restano di sorprendente efficacia.
Completa il volume un breve ma ben centrato saggio del curatore, che nell’inquadrare anche storicamente i testi presentati riesce in poche pagine a tirarne le fila e individuarne le correnti più importanti.