Non possiamo che rimanere su Barry Lyndon. Troppo ghiotta l’occasione della nuova distribuzione e di poterne riparlare in termini critici e analitici. Oggi siamo andati a curiosare nel ricco sito dell’Archivio Kubrick, nel quale – oltre ai suoi altri film – si trovano numerosi materiali anche intorno a Barry Lyndon (ecco per esempio la sceneggiatura da scaricare). Inoltre, abbiamo ritrovato un bel saggio di qualche anno fa, scritto dalla giovane ricercatrice Laura Matiz, sul rapporto tra fonti iconografiche (alcune assai poco citate) e film. Segue.

COME INCIDERE ALL’ ACQUAFORTE UNA PELLICOLA EASTMAN COLOR.

Il “disegno” di Daniel N. Chodowiecki nel “Barry Lyndon” di

Stanley Kubrick.

L’aspetto immediato del film di Kubrick è proprio quello del

libro di illustrazioni…forma di espressione tipicamente

settecentesca…[1]

 

L’11 dicembre 1975 a Londra e il 18 dicembre dello stesso anno a New York esce, nelle sale cinematografiche, il film Barry Lyndon di Stanley Kubrick[2] ambientato nell’Europa del XVIII secolo. Il soggetto è tratto dal romanzo ottocentesco Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray, pubblicato nel “Fraser’s Magazine”(1844) con il titolo The Luck of Barry Lyndon, , ripubblicato successivamente in forma di libro nel 1856 con il titolo The Memoirs of Barry Lyndon, Esq., of the Kingdom of Ireland. Kubrick, rispetto al romanzo, lavora lasciando l’originario ordine fattuale quasi intatto: la sintassi narrativa rimane pressoché invariata nei suoi rapporti logici e cronologici. E’ costretto a comprimere la storia di Thackeray per adattarla alla durata standard di un racconto cinematografico. La lettura della sceneggiatura[3]evidenzia una massiccia ripresa letterale delle parole del romanzo, rimaste inalterate nella voce narrante del film che, in terza persona e non più in prima come nel romanzo, riporta i dettagli narrativi in modo più sintetico e incisivo essendo in questo aiutato dalla potenza descrittiva delle immagini. Si prenda ad esempio il metodo di adattamento che Kubrick opera per la sequenza della seduzione condotta da Redmond su Lady Lyndon[4]: nel romanzo, il tutto, si svolge in modo estremamente complesso e ricco di energetici dialoghi e schermaglie amorose. Trascorrono ben cinque anni tra il loro primo incontro e il matrimonio. Nel film invece, Kubrick risolve con una spettacolare muta concentrazione. Una grande assente: la voce narrante. Le immagini allora, si lasciano leggere come veri dipinti dell’epoca. Kubrick, per comunicare con lo spettatore, rinuncia alla parola e usa i mezzi propri della pittura o del disegno: simboli, attributi, colori, posture, disposizioni reciproche di persone e ambiente. Sembra avvicinarsi all’epoca pre-gutenberghiana: le sequenze, talmente lente e solenni da sembrare prive di svolgimento diacronico, emulano le antiche predelle dipinte dove le vicende dell’intera vita di Cristo o di un Santo raffigurato, vengono rappresentate in sequenza , colte nei momenti di massima significazione e pregnanza emotiva. Quasi a emulare gli exultet , dove la pittura grida la necessità di un ritmo temporale , con il loro srotolamento, avveniristico preludio a quello della pellicola cinematografica.

Così Kubrick sembra ripercorrere i passi dell’arte pittorica medievale quando, con le sue sequenze “raggelate”, blocca lo scorrere della pellicola e restituisce la dimensione della temporalità e del moto attraverso una succesione di stazioni, di immagini strutturate per essere fortemente evocative di ciò che si sta svolgendo a livello narrativo[5]. Kubrick “dipinge” le sequenze. Lo spettatore è stritolato nel cortocircuito dipinto-sequenza cinematografica-dipinto subendo un salto temporale di svariati secoli. Nello specifico della sequenza della seduzione al tavolo da gioco, è l’immagine che riesce a far udire le parole. Tutto accade come se le parole inscritte nell’atmosfera fumosa, odorosa, ormai povera di ossigeno e satura di vapori esalati dalla cera calda, uscissero aduna ad una, lettera per lettera, dalle bocche socchiuse dei due futuri amanti per venire a incidersi sulla pellicola cinematograficaman mano che vengono pronunciate. Come se, “il soffio della voce avesse potenza, virus, visibilità per l’occhio e leggibilità per lo sguardo”[6]. Come se tra i loro sguardi esistesse un canale comunicativo privilegiato, un tubo catodico in cui scorrono, invisibili ai presenti ma udibili e leggibili allo spettatore, le loro parole. Una voce che Kubrick rende percepibile alla vista, sontuosamente, nel pieno di questa raffinata scena di seduzione.E’ necessario ora addentrarsi nel campo delle innumerevoli fonti figurative cui Kubrick si è ispirato per ricostruire, o meglio, documentare il suo XVIII secolo europeo. Lo scopo di questo studio è quello di individuare quale uso originale Kubrick è riuscito a fare di queste fonti iconografiche e come ne abbia “strumentalizzato” le peculiari potenzialità espressive per costruire un’intera storia in pellicola.

Ken Adam, scenografo per Barry Lyndon intervistato da Michel Ciment, cita diversi nomi di artisti settecenteschi europei tra cui uno, più difficile degli altri da pronunciare, che denuncia la sua origine mitteleuropea, il polacco Daniel Nikolaus Chodowiecki[7]. Il progetto di Kubrick pare una vera e propria sfida lanciata alle possibilità del cinematografo che non è stato testimone diretto del periodo: l’epoca dei Lumi viene trattata attraverso le forme figurative del suo tempo e i mezzi rappresentativi del nostro. Ho iniziato a supporre che Stanley Kubrick abbia potuto utilizzare alcune delle acqueforti di Daniel N. Chodowiecki per costruire lo storyboard di Barry Lyndon. L’ intervista che mi ha rilasciato la costumista premio Oscar per il film, Milena Canonero, conferma la mia ipotesi:

…Kubrick forse ha sentito il modo di narrare storie per immagini di Chodowiecki affine al suo modo di sentire le inquadrature cinematografiche. L’ assimilazione delle immagini di storia dell’arte è avvenuta in modo del tutto naturale, spontaneo. Studiava un certo periodo storico, lo faceva suo, fino a quando, istintivamente, nelle sue inquadrature, le fonti di cui si era nutrito riemergevano prepotentemente, filtrate però alla luce di una conoscenza profonda di tutta la storia dell’arte…

Dopo averne analizzate diverse centinaia, ne ho selezionate alcune riguardanti esclusivamente le sequenze pertinenti la figura di Lady Lyndon. Il diverso formato dell’inquadratura tra incisione all’acquaforte e macchina da presa, non ha costituito un ostacolo per il regista. L’orizzontalità del formato cinematografico non perde quel senso di verticalità tanto spiccata e tipicamente ricorrente nelle incisioni di Chodowiecki[8]. Kubrick mantiene, con maestria, la stessa composizione formale delle acqueforti, ne rispetta le proporzioni tra personaggio e ambiente, conserva la stessa altezza dell’inquadratura, tipologia e provenienza delle luci, i notturni. Ne fagocita avidamente i robusti passaggi chiaroscurali. Redmond e Lady Lyndon sembrano emulare le figurine delle acqueforti. Kubrick conserva i profili. Non si distrae e ripete i dettagli di abbigliamento, acconciature e posture nei suoi attori. Abilmente sfrutta quello che già disegno e pittura erano arrivati a fare prima e meglio del cinema. Per la sua pellicola emula le acqueforti di Chodowiecki, la loro staticità, trasformando la sua macchina da presa in una macchina fotografica[9]. Kubrick sceglie il numero necessario e sufficiente per rendere l’intelligibilità del continuum narrativo. Ogni intervallo tra due o più disegni che costituiscono un’intera sequenza della pellicola[10], corrisponde, nel film, a una quantità più o meno elevata di fotogrammi, assenti nello storyboard. In rapporto al numero d’immagini che saranno espresse sulla pellicola, lo storyboard opera dunque d’anticipo con una selezione drastica. Le sequenze kubrickiane, assimilabili a dei fermo immagine, omaggiano la tradizione settecentesca della gravare d’accompagnamento a opere letterarie. Kubrick illustra il testo, la voce narrante, guardando alle acqueforti di Chodowiecki, utilizzando l’immagine come un “metalinguaggio visivo più o meno semplificato rispetto al referente testuale”[11]. L’analisi parallela di coppie di immagini, un’acquaforte di Chodowiecki e un fotogramma tratto dal film, faranno chiarezza su come, a prima vista, ciascuna paia avere un valore sincronico cogliendo l’istante mentre, prestando attenzione, si noti come la rappresentazione iconica produce a sua volta un “ effetto diacronico attraverso l’inserzione di elementi, tracce, indizi, che rimandano a un “prima” e un “dopo””[12]. L’immagine, rispetto al suo referente testuale, si carica di significazione e svolgimento temporale, superando la mera fedeltà traduttiva. Lo studio di Franca Zanelli Quarantini nota come Chodowiecki riesca a generare, rispetto al testo di riferimento, una traduzione iconica insieme fedele e altra dove è determinante, per la significazione, il ruolo affidato al décor (elemento che anche Kubrick utilizza a vantaggio dell’espressività). “…malgrado l’apparente funzione ornamentale, su di esso si concentra gran parte del messaggio simbolico contenuto nell’immagine”[13].L’aspirazione a una temporalità iconica era già aspirazione del polacco. Qui Chodowiecki aspira a una temporalità quasi cinematografica. Brama quello che tradizionalmente e virtualmente pare essere negato al dipinto e dato invece in potenza all’illustratore di storie e romanzi. Kubrick, delle due immagini di cui la seconda è successione temporale della prima, opta per quest’ultima dove i personaggi “posano” pacatamente e dove, senza tradire emozioni, ricoprono il loro ruolo sociale. Ma, come ben Chodowiecki mostra in questa serie di acqueforti, l’uomo settecentesco è dotato di sentimenti e passioni che lo fanno trasalire al cospetto di eventi naturali(o davanti alle bellezze dell’arte; Redmond che apprezza “l’uso del colore blu” di Ludovico Cardi ?! ). Anche Kubrick non dimentica di rappresentarci questo lato della natura umana, il più istintuale, bestiale, sanguigno, irrazionale e lo farà girando scene[14]con la macchina a mano, rompendo ogni equilibrio compositivo e ordine formale. L’operare artistico di Kubrick riabilita l’immaginazione dello spettatore: ciò che è rappresentato lascia intravedere il non (ancora) detto o reso immagine[15]. Esattamente come già J.J. Rousseau, inconsapevolmente, indicava all’illustratore Hubert F. Gravelot (1699-1773) le norme per rendere l’immagine all’acquaforte l’immediato precursore del cinema: “ Come per le figure in movimento, è necessario vedere ciò che precede e ciò che segue, e dare al tempo dell’azione una certa latitudine”[16].L’interpretazione visiva kubrickiana al romanzo di Thackeray e alla voce narrante del film sembra così volgere verso una “singolare consapevolezza dell’intera architettura narrativa; in equilibrio tra intertestualità letteraria e intertestualità iconica”[17].

Nota dell’autore:

Il testo,un estratto della mia tesi di laurea, è stato pubblicato, con immagini inedite, su Art dossier, Giunti editore, numero 225, settembre 2006. La mia ipotesi circa l’uso delle acqueforti di Daniel N. Chodowiecki come fonte iconografica per lo storyboard di Barry Lyndon, trova conferma nella mostra itinerante su Kubrick tenutasi a Roma al Palazzo delle esposizioni dal 6 ottobre al 6 gennaio 2008. Qui era esposto un libro che lo stesso regista aveva fatto acquistare per documentarsi (si vedano le dichiarazioni di Ken Adam e Milena Canonero). Il libro, illustrato con acqueforti, porta il titolo Daniel Chodowiecki’s künstlerfahrt im jahre 1773, (Da Berlino a Danzica viaggio di un artista nell’anno 1773). Quindi Kubrick ha avuto la possibilità materiale di studiare questo artista, forse anche su altri libri d’epoca illustrati da Chodowiecki (perduti? tenuti dalla famiglia del regista?). Noi oggi abbiamo la possibilità di ammirare un estesissimo corpus di acqueforti dell’artista polacco sul sito del LACMA, Los Angeles County Museum of Art. Certamente Kubrick ne ha viste alcune di esse, non tutte, e su formato cartaceo, ma il lettore potrà rapidamente farsi un’idea dell’identità di funzionamento tra alcune di esse e le sequenze-fotogrammi in Barry Lyndon. Non possiamo pubblicare le acqueforti non essendo in possesso dei diritti di immagine. Lasciamo a voi il piacere della scoperta.

Laura Matiz

 

 

[1] E.Ghezzi, Stanley Kubrick, Milano, Il Castoro, 2002, p.113

[2] Stanley Kubrick , regista (New York, 1928-St.Albans, Londra, 1999)

[3] Sceneggiatura originale consultabile nel sito www.archiviokubrick.it/film/bl/script/BarryLyndonscript.txt ; sceneggiatura databile al 18 febbraio 1973.

[4] Vedi figg.2,4, e 6

[5] “Il mezzo (la macchina da presa), potenzialmente mobile, ricerca l’immobilità: ne consegue un ulteriore raggelamento rispetto all’immagine pittorica che è fissa ma costantemente alla ricerca di vitalità e movimento”; M.e P. Vecchi, Stanley Kubrick. Barry Lyndon, in “Cineforum”, n.160, 1976, p.784

[6] L.Marin, Della rappresentazione, Roma, Meltemi, 2000, p.177

[7] “…in particolare Chodowiecki, un artista polacco che ci affascinava entrambi, un maestro nel disegno e nell’acquerello che aveva uno stile estremamente semplice e un notevole senso della composizione”; parte dell’intervista di Ken Adam rilasciata a Michel Ciment, Kubrick, Milano, rizzoli, 2000, p.211

[8] “…una certa “ligneità” che si riverbera sulle figure, allungandole innaturalmente,…”; Franca Zanelli Quarantini, Un bacio nel bosco: ‘gravures’ dalla Nouvelle Héloїse, in “Studi di estetica”, Bologna, Clueb, 1999, IIIserie, p.91

[9] Kubrick nasce fotografo. Celebre il suo scatto al giornalaio in occasione della morte di F.D. Roosevelt, venduto alla rivista “Look”. Il regista, allora, era appena sedicenne.

[10] In questo caso specifico si tratta della sequenza di seduzione a Spa.

[11] Franca Zanelli Quarantini, Un bacio nel bosco:’gravures’ dalla ‘Nouvelle Héloïse’, in “Studi di estetica”, n.19, III serie, 1999, p.83

[12] Franca Zanelli Quarantini, Un bacio nel bosco: ‘gravures’ dalla ‘Nouvelle Héloïse’,in “Studi di estetica”, n.19, III serie, 1999, p.84

[13] Ibid.,p.92

[14] Il tentato suicidio di Lady Lyndon e le scene di lotta che hanno come protagonista Redmond.

[15] “…una prodigalità di segni che mantengono l’informazione aperta sul testo, dispiegando il senso oltre la pagina da rappresentare”; Franca Zanelli Quarantini, Un bacio nel bosco: ‘gravures’ dalla ‘Nouvelle Héloïse’, in “Studi di estetica”, n.19. III serie, 1999, p.101

[16] Franca Zanelli Quarantini, Un bacio nel bosco: ‘gravures’ dalla ‘Nouvelle Héloïse’, in “Studi di estetica”, n. 19, IIIserie, 1999, p.100

[17] Ibid., p.101