Un’astronave-città, Icaro XB 1, dai corridoi labirintici; un equipaggio di scienziati che parte in missione alla ricerca della vita intorno ad Alfa Centauri. Icaro XB 1 di Jindřich Polák, 1963, è probabilmente l’unico film cecoslovacco dell’epoca a collocarsi nel genere fantascienza. E’ una fantascienza che si fonda su una visione ottimista dell’avvenire in contrasto ai tempi bui del XX secolo, esplicitamente evocati nella bella sequenza dell’esplorazione dell’astronave-relitto: avvicinata quasi come un reperto preistorico, al suo interno è racchiusa la nostra epoca, sottoforma di uomini sorpresi dalla morte nel bel mezzo di ciò che sembra una festa, e ordigni nucleari pronti a esplodere al minimo urto; difficile chiamare umani gli abitanti del Novecento, che hanno potuto concepire l’Olocausto e Hiroshima, come ricordano da Icaro XB 1. Anche le radiazioni che causeranno il dramma all’interno della navicella non hanno un’origine definita: la minaccia è inconoscibile e immotivata, mentre il finale conferma e rafforza la fiducia in una nuova umanità solidale oltre i confini dello spazio e del tempo, capace, qualora non venga rinvenuta, di manifestarsi autonomamente come una divinità laica, e venire in aiuto nel momento di peggiore smarrimento.

Un messaggio totalmente umanista, come dimostra anche la totale inutilità dei dispositivi tecnologici: i segnali che mettono in allarme equivocano spesso il reale, le onnipresenti telecamere si rivelano ogni volta strumenti incapaci di determinare realmente il salvataggio della situazione, e persino il marchingegno più obsoleto ma più “simpatico”, il robot ottantenne Patrick, non fa una bella fine. Un messaggio che pecca forse di semplicismo, ma che esemplifica bene il desiderio di sganciarsi dagli orrori del presente, attraverso il più potenzialmente utopico tra i generi cinematografici.

Chiara Checcaglini