La retrospettiva sulla nouvelle vague polacca sta dando grandi soddisfazioni. Saranno i formati panoramici, che visti tutti insieme paiono confermare la sensazione di una scuola al contempo sperimentale e solida, dove lo spazio della messa in scena è davvero una questione centrale. Certo è che i capolavori si susseguono uno dietro l’altro. E la questione ebraica sembra alla base di alcuni dei più potenti, come Samson di Wajda, una vera epopea dove il regista accusa il suo paese di sentimenti antisemiti largamente pre-esistenti al nazismo. O come, soprattutto, La passeggera di Munk, ancora troppo poco consolidato nella storia del cinema, e invece uno dei più importanti film mai girati sui campi di sterminio. La vicenda produttiva della pellicola, come noto, è già di per sé un romanzo. La facciamo rievocare a Peter Von Bagh: “Paseżerka è il quarto e ultimo film di Andrzej Munk, rimasto incompiuto a causa della morte improvvisa del regista in un incidente automobilistico. Inizialmente i suoi collaboratori non vollero metter mano al materiale, ma poi ci ripensarono: i loro contributi estremamente sensibili e intelligenti a un film profondamente originale furono al contempo un’opera di ricostruzione e un tentativo di comprendere il processo creativo dell’amico scomparso. La natura incompiuta del film, magnificamente conservata dagli amici di Munk, riesce perfino a rendere più intenso e sottile il risultato finale, soprattutto se si pensa ai tanti film sui campi di concentramento che sono caduti nella trappola del semplicismo o della volgarità: la tematica dei lager è quasi impossibile da affrontare sul grande schermo. Nella cinematografia polacca Paseżerkaha un importante precedente, L‘ultima tappadi Wanda Jakubowska (1947), frutto di una testimonianza in prima persona. Per certi versi Munk riesce a trasmettere le stesse sensazioni ed è forse il miglior film di finzione sui campi di concentramento nell’indagare il complesso rapporto tra vittima e carnefice, e uno dei migliori in assoluto insieme al documentario di Resnais, Notte e nebbia (1955)”.

E in effetti, attraverso lo specchio di una sorvegliante dei campi che rivive in flashback gli orrori “burocratici” e la malsana competizione con una prigioniera, mette in gioco talmente tante questioni (l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione come sistema quotidiano e realizzato, il femminile e il materno negati dal nazismo, l’analisi di se stessi e delle proprie colpe) che è impossibile restare indifferenti. A parte i momenti più insostenibili – come la celebre sequenza dei bambini ignari accompagnati verso una porticina, mentre gli aguzzini sui tetti preparano la soluzione letale da versare nei camini – La passeggera andrà rilanciato (ben più di tante opere politicamente corrette e intimamente pornografiche sul nazismo) nelle proiezioni dedicate alla memoria e al ricordo.

Ciné-fils