La realtà virtuale è la grande protagonista dell’anno: una tecnologia che promette di cambiare il mondo dell’intrattenimento digitale, un sogno che si avvera per molti videogiocatori. Il mese scorso avevamo parlato dell’incontro tra cinema e VR; questo mese torniamo a parlare di videogiochi. Con qualche riserva.
Allumette mi aveva stupito più di ogni altra cosa. Un film che metteva in discussione il confine tra spettatore e giocatore, diventando interattivo pur senza rinunciare alla tradizionale linearità della narrazione filmica. Un’esperienza, per quanto embrionale, che consiglierei a qualsiasi cinefilo curioso. È tuttavia ai videogiochi che la realtà virtuale viene strettamente affiancata. Questioni di marketing, probabilmente, anche perché le applicazioni VR in ambito medico sono all’ordine del giorno, così come in ambito turistico. Eppure si parla sempre di videogiochi e VR, complice la grande risonanza videoludica data a visori come Oculus, Vive e soprattutto PS VR. Dopo un mese di full immersion virtuale, da giocatore, nutro qualche perplessità. Sarà l’età, ma il senso di meraviglia iniziale ha ceduto il passo alla riflessione. Che è cosa buona e giusta, ma anche un fatto ampiamente indicativo. Se si trova il tempo di riflettere, vuol dire che la ragione ha avuto la meglio sull’emozione.
Per esempio, la prima volta che ho giocato a Rigs (un gioco d’azione in cui dei robottoni si sfidano all’interno di arena futuristiche) mi sono sorpreso a saltare in prima persona dalle piattaforme; non vi dico le vertigini quando mi sono lanciato con Eve: Valkyrie nello spazio a bordo di una navicella. Due esperienza tradizionalmente videoludiche vissute indossando un visore. A poche settimane da quelle prime volte, non sento più il bisogno di tornare col visore su quei due giochi, preferirei giocarci senza. In altri titoli non accade: in Resident Evil VII, che pur è un’avventura horror tradizionale, percepisco chiaramente il plus della VR, soprattutto quando mi ritrovo ad affacciarmi alle porte per osservare che il corridoio sia sgombro. La dimostrazione che le esperienze videoludiche in VR andrebbero forse ripensate in ottica nuova? Bisognerebbe riprogettare le meccaniche ludiche non dico da zero ma quasi. Nel recente Werewolves Within, indossato il visore, ci si siede intorno al fuoco con altri utenti sparsi in giro per il mondo: è l’inizio di un gioco di società in cui la convivialità trae beneficio dalle forme di interazione corporea rese possibili dalla VR. Un vero e proprio gioco di ruolo.
Di recente mi è capitato tra le mani Perfect, il corrispettivo per PlayStation VR di quelle colonne sonore new age fatte di onde che si infrangono, foreste al vento, cinguettii di uccellini. Un’opera di pura evasione che porta il giocatore all’interno di tre scenari paradisiaci – un’isola tropicale, un lago di montagna, uno scenario innevato del nord con aurora boreale annessa – in cui potersi rilassare lontani dalla frenesia della quotidianità. Si può persino scegliere la propria colonna sonora e godersi il cielo stellato ascoltando i rumori della natura. Sulla carta, un’esperienza atipica ma affascinante, concepibile solo in realtà virtuale, una realtà altra per definizione. Tuttavia, l’utente non può esplorare lo scenario, ma solo osservarlo da tre diversi punti panoramici fissi, di giorno e di notte. Interagire con qualche sassolino, lanciare un ramo nel fuoco. Intrappolati in quel metro quadrato, il relax diventa tortura: non poter esplorare quei luoghi idilliaci è straziante. Fermo restando che per qualche istante l’ombra di quelle palme in riva al mare può essere un toccasana, a lungo andare emergono tutte le restrizioni dell’opera. La realtà virtuale può diventare strumento di evasione e relax: Perfect, tuttavia, ce ne dà solo un piccolo assaggio.
Non so come andrà a finire, se la VR si rivelerà un flop colossale o la tecnologia del futuro. Sono propenso a credere che, se futuro sarà, si tratterà comunque di un filone parallelo al gaming tradizionale (o al cinema tradizionale, tornando per un attimo ad Allumette). Sono certo che possano nascere esperienze in grado di valorizzare al meglio le caratteristiche del virtuale. Per ora si è visto troppo poco, ma siamo solo agli inizi.
Andrea Dresseno