Le figure filiformi delle opere di Hieronymus Bosch vengono scrutate da Silvano Agosti allo stesso modo in cui esplora i volti e i corpi dei protagonisti de Il giardino delle delizie, nome derivato dal trittico del pittore fiammingo, la cui celebre cura del dettaglio provoca in noi quella attenta e divertita ricerca del particolare, la stessa che guida Agosti nella scelta delle inquadrature, dei primi piani, degli sguardi, dei gesti mai casuali. Non va dimenticato il contributo del direttore della fotografia Aldo Scavarda, dell’operatore alla macchina Vittorio Storaro e delle musiche di Ennio Morricone.

Come in un quadro di Bosch le immagini allegoriche e apocalittiche si susseguono mostrandoci il coinvolgimento estremo e viscerale del regista che definisce il suo primo lungometraggio come una “visita ai fantasmi dell’infanzia, non tanto per esorcizzarli quanto per constatarne la mancanza di creatività”. (Silvano Agosti un poeta del cinema da scoprire, 1988).

La pellicola indaga l’unione fragile e irrequieta tra Carlo e Carla, Maurice Ronet e Evelyn Stewart, novelli sposi, frutto esemplare di un’educazione cattolica interiorizzata fin dai prima anni di vita (i fantasmi di cui sopra) e profondamente radicata nella società che vede nel rito del matrimonio il coronamento di un sogno borghese. Un’armonia di facciata violentemente smascherata da Agosti il quale non giudica i protagonisti ma ne asseconda le debolezze mostrando l’instabilità di un’umanità spietata, la cui trasposizione pittorica, fantasiosa e simbolica, la si va a ritrovare nella natura demoniaca raffigurata da Bosch e descritta abilmente da Dino Buzzati nel racconto introduttivo a L’opera completa (1966) dell’artista: “I demoni, con teste maialesche e ferine, con bocche da rospo, con ventri squamosi di aracnide (…), corpi tiepidi e palpitanti di sozze voglie, per lo più rosei, spiccavano con una violenza ancor più selvaggia (…)”. I mostri di Hieronymus Bosch non sono altro che “creature umane, la vera essenza dell’umanità che ci circonda. Latravano, vomitavano, addentavano, sbavavano, infilzavano, dilaniavano, succhiavano, sbranavano. Così come noi ci sbraniamo giorno e notte, a vicenda, magari senza saperlo”.

Prima di mostrarci il pandemonio brulicante dell’iconografia di Bosch il regista si sofferma su un altro quadro, il San Giovanni Battista in meditazione, sotto il quale compare la scritta Il sogno di Adamo, didascalia che rimanda al testo di una lettera di John Keats in cui il poeta espone al suo lontano interlocutore il valore del “mondo autentico della fantasia”: “L’unica certezza che mi rimane è la santità degli affetti e la verità della fantasia. Quel che la fantasia percepisce come bellezza dev’essere vero – sia o no esistito prima – poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l’amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura. (…) La fantasia si può paragonare al sogno di Adamo: si svegliò e lo trovò vero. Me la prendo particolarmente a cuore perché non sono riuscito ancora a comprendere come si possa dimostrare la verità di qualcosa con il ragionamento logico – eppure dev’essere così”. Questo incipit pittorico, a prima vista sibillino, se accompagnato dalle parole di Keats, sembra riassumere le intenzioni del regista, il quale, attraverso una visione fittizia della realtà, propria del cinema, esalta la potenza e la bellezza delle immagini, poetiche e allo stesso tempo estremamente realistiche che scaturiscono da passioni “intensamente sublimi” e vere, d’altronde D’amore si vive dirà Agosti anni dopo nell’omonimo documentario.

Nonostante la pellicola abbia subito una pesante censura Il giardino delle delizie viene ricordato da Agosti come un lavoro “mostruosamente bello” per la meticolosa cura delle inquadrature che ne potenzia “la tragicità dell’insieme”. In particolare, fu eliminata la scabrosa relazione tra Carlo e sua sorella interpretata da Lea Massari, questi interventi “necessari” portarono la critica già in partenza ostile, come spiega il regista, a definirlo un film frammentario. I tagli imposti ad Agosti non hanno spento il messaggio provocatorio del Giardino delle delizie, è nel film Nel più alto dei cieli che ritroviamo alcuni particolari tratti dal trittico dipinti sulle porte dell’ascensore che porta i protagonisti all’udienza papale; qui il regista prosegue nell’attribuzione di valori di denuncia all’opera di Bosch tramutatasi in specchio attuale di una società cattolica e conservatrice.

Cecilia Cristiani