Chi è Ned Merrill? E’ l’aitante uomo di successo dell’inizio, privo dei segni della mezza età, invidiato dai coetanei e desiderato dalle donne, o il confuso relitto deriso e compatito della fine? E’ un uomo o un’allegoria? E’ The Swimmer (uscito in Italia col titolo Un uomo a nudo), emerso dalla penna di John Cheever: un esploratore increspa i languidi passatempi dei suoi vicini con un’impresa troppo bizzarra per essere compresa, nel Connecticut, dentro ad un microcosmo benestante talmente (apparentemente) lontano dalle preoccupazioni del mondo da non aver bisogno di steccati né cancelli; unico, tortuoso ambiente in cui le perfette dimore compaiono come miraggi tra i boschi. Il suo risalire l’immaginario fiume Lucinda (dal nome della moglie), composto dalle piscine dei suoi simili e vicini di casa, è un viaggio a tappe che strato dopo strato mette a nudo un malessere rimosso, che ha basi totalmente concrete, come tutto ciò che sembra avere importanza nelle vite messe in mostra nel film.

Di Martini in Martini, di superficie trasparente in superficie trasparente, Ned si muove in situazioni a lui familiari da cui si trova suo malgrado rigettato senza nemmeno accorgersene: così, il suo costume da bagno e il suo entusiasmo sono sempre più fuori luogo, gli amici che incontra sempre un po’ più insofferenti e scostanti dei precedenti, le allusioni a certe sue disgrazie economiche sempre più esplicite. E infatti il cielo troppo blu diventa tempestoso, e l’acqua troppo cristallina (grazie ad appositi e costosissimi filtri) sparisce perché terrorizza un bambino o si riverbera in quella fangosa che sporca i piedi di Ned. Così, oltre il disagio del protagonista, il continuo parlare di agio e divertimento, di amanti e di postumi, rende lampante che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nell’esistenza di queste persone, fondata sull’attesa del nulla, su collezioni di gesti e azioni immotivati, dove persino un buon colpo a golf è occasione per una festa luculliana, e dove l’amore è un interstizio fugace e velato necessariamente di tragedia.

All’interno dell’Omaggio a Burt Lancaster trova giustamente spazio il film di Frank Perry, che l’attore stesso ha definito la sua interpretazione migliore, e a ragione. Via via che le nuvole si addensano, le ombre si allungano e i boschi diventano più tetri, anche il corpo costantemente in mostra di Lancaster è capace di farsi sempre più cupo, di coprirsi di brividi e ferite, ripiegato e zoppicante, mentre il suo sguardo fieramente eroico diventa smarrito. The Swimmer non ebbe il successo che si meritava, e a vederlo oggi appare forse un po’ appesantito da simbolismi caricati ed effetti formali che pur di sottolineare finiscono per essere ridondanti, come i ralenti, le sovrimpressioni. Rimane intatta la capacità di suscitare una sorda e crescente angoscia, che ha il suo apice nella scena nella piscina pubblica: il corpo plastico di Burt Lancaster è qui pressato e impedito da decine di altri corpi, che spingono, spostano, potenzialmente affogano: un’immagine potentissima e opprimente, fotografia di un’idea di benessere fondata sulla fatuità del momento e sul consumo acritico di oggetti, divertimenti e atteggiamenti, destinata a guardarsi allo specchio e a vedersi affondare.

Chiara Checcaglini