Un po’ di cinefilia giocosa. Una delle pratiche più appassionate della cinefilia è senza dubbio quella dei nomi. Il cinema, arte collettiva, rappresenta un catalogo onomastico infinito. Spesso ciò che distingue il cultore dal semplice spettatore è proprio l’erudizione enciclopedica. E Federico Magni ci conduce attraverso una storia fatta di omonimi, alias e nomi d’arte: “Tra le difficoltà che presenta l’ingresso nel mondo dello spettacolo, esiste anche il problema di ritrovarsi con un nome già ‘occupato’, avere cioè un omonimo che magari gode già di una certa notorietà, e pure risulta operante nello stesso settore. Mentre interpreti e registi usufruiscono di una visibilità che pone rimedi preventivi al problema, l’appartenenza a settori più tecnici e con minore esposizione può portare a situazioni singolari se non paradossali.

Quando James Lablanche Stewart volle compiere il salto dal palcoscenico allo schermo, dovette adottare il nome d’arte di Stewart Granger, essendo già in attività un legittimo possessore del nome James Stewart. Allo stesso modo Michael Douglas da Coraopolis (Pennsylvania) ha scelto di chiamarsi Michael Keaton per proseguire nella carriera artistica quando le apparizioni televisive ne hanno fatto un volto conosciuto. Harrison Ford non si è dovuto preoccupare, il suo omonimo scomparve nel 1957 dopo essersi ritirato dagli schermi all’inizio degli anni Trenta: il sonoro troncò la carriera di un protagonista che era stato al fianco di dive come Norma Talmadge, Gloria Swanson e Clara Bow. Partner di Janet Gaynor nei melodrammi marca Fox diretti da Frank Borzage, Charles Farrell fu molto popolare negli Stati Uniti ma in Gran Bretagna il suo nome dovette essere distinto da quello di un suo contemporaneo (li separava appena un anno di distanza) che, seppure in parti di secondo piano, militò nel cinema britannico fino agli anni Settanta.

Il regista Rex Ingram iniziò la carriera cinematografica a metà degli anni Dieci alla compagnia Edison, nelle vesti di attore e sceneggiatore. Da principio usò il vero cognome (Hitchcock), che cambiò quando aggiunse alle sue responsabilità quelle di regista e produttore. Pur conservando una rilevante fotogenia Ingram – di origini irlandesi – difficilmente avrebbe potuto essere confuso con il Rex Ingram giunto sulla scena cinematografica da Cairo (Illinois): quest’ultimo era un attore afro americano dall’aspetto carismatico e solenne, che lo rese popolare in ruoli con connotazioni sovrannaturali, come De Lawd in Verdi pascoli (Green Pastures, 1936), il Genio della bottiglia in Il ladro di Bagdad (The Thief of Bagdad, 1940) ed il figlio del Diavolo in Due cuori in cielo (Cabin in the Sky, 1943). La carriera di William Boyd, aitante interprete per Demille negli anni Venti poi sotto contratto con la RKO, subì un brusco arresto per causa dei guai giudiziari di un suo omonimo che si faceva chiamare William ‘Stage’ Boyd, per sottolineare la provenienza dai palcoscenici di Broadway. William Boyd riguadagnò la popolarità perduta vestendo gli stivali e il cinturone di Hopalong Cassidy, in una serie western degli anni Quaranta poi trasmessa più volte in tv.

Come sottolineato prima, casi più problematici riguardano persone che lavorano entrambe dietro la macchina da presa. Charles B(ryant) Lang è stato uno dei maggiori direttori della fotografia del cinema americano, prima alla Paramount [1929-51] poi da indipendente. Vincitore di un Oscar per la prima versione di Addio alle armi (A Farewell to Arms, 1932), nel corso di una carriera quarantennale curò le immagini di I lancieri del Bengala (Lives of a Bengal Lancer, 1935), Sogno di prigioniero (Peter Ibbetson, 1935), Sfida allOk Corral (Gunfight at the Ok Corral, 1957), I magnifici sette (The Magnificent Seven, 1960) e fu al servizio di registi quali Billy Wilder (Lasso nella manica / Ace in the Hole, 1952; Sabrina, 1954; A qualcuno piace caldo / Some Like It Hot, 1959), Ernst Lubitsch e Fritz Lang. Charles B(urnet) Lang trascorse la carriera alla Warner Bros., dal 1930 all’anno della morte (1956) ma il suo strumento di lavoro non era la cinepresa ma la console di missaggio, con la quale registrò i dialoghi di La foresta pietrificata (The Petrified Forest, 1936), La vita del dottor Pasteur (The Story of Louis Pasteur, 1936)Il signore resta a pranzo (The Man Who Came to Dinner, 1942), Johnny Belinda (1948), E’ nata una stella (A Star Is Born, 1954).

Ernest Palmer fu uno dei principali cameraman della Fox, responsabile delle immagini per film diretti da Frank Borzage, F. W. Murnau e Frank Lloyd. Pur essendo statunitense (nativo di Kansas City, Missouri) crebbe artisticamente in Inghilterra [1913-19], dove collaborò con Herbert Brenon e George Loane Tucker. Entrato alla Fox nel 1925, vi rimase per venticinque anni. Il suo ultimo film, L’amante indiana (Broken Arrow, 1950) di Delmer Daves, testimonia quella capacità di padroneggiare il Technicolor che portò Palmer all’Oscar nel 1942 (Sangue e arena / Blood and Sand). I successivi lavori che talvolta gli vengono attribuiti erano in realtà opera di un operatore inglese – nato Harold Ernest Palmer ma noto in ambito artistico con il secondo nome – che operò fino alla fine degli anni Cinquanta. Il Palmer inglese si distinse soprattutto nelle produzioni di Joe Rock (tra cui Ai confini del mondo / Edge of the World, 1937, di Michael Powell) e nei film bellici della Ealing (San Demetrio, London, 1943).

L’arredatore inglese Peter Howitt (Braveheart, 1995; Chi ha incastrato Roger Rabbit? / Who Framed Roger Rabbit?, 1988) ha citato l’omonimia con il regista di Sliding Doors (1998) come causa di aneddoti singolari: quando entrambi risiedevano a Londra, Howitt si rivolse ad una compagnia di noleggio per avere un’auto che lo portasse all’aeroporto e si vide consegnare la Rolls Royce che il regista era solito richiedere. Più ostico invece, il caso illustrato dal tecnico del suono John W. Mitchell (Amleto / Hamlet, 1948) nel suo libro di memorie ‘Flickering Shadows: A Lifetime in the Movies’ (Cromwell Press Ltd., 1997), anche perché coinvolse un collega (John Mitchell, Sangue blu / Kind Hearts and Coronets, 1948) non solo identico nel nome ma anche nel genere di lavoro. Entrambi operarono come fonici di produzione (sound mixer), ovvero responsabili della registrazione dei dialoghi e dei rumori di ambiente nel corso delle riprese, si svolgano quest’ultime in studio o nelle location più disparate. Nel libro John W. Mitchell ricorda le occasioni sfumate (e le porte sbattute in faccia) quando veniva scambiato per il suo collega, che aveva una forte propensione per la scotch. Mitchell aveva collaborato con David Lean registrando effetti sonori per Grandi speranze (Great Expectations, 1946) ed aspirava a partecipare, stavolta da fonico, ad un’altra realizzazione del regista. La chiamata giunse con Il ponte sul fiume Kwai (The Bridge on the River Kwai, 1957) ma fu l’altro Mitchell ad essere convocato. Una delle cause dell’equivoco risiede probabilmente nel fatto che il collega di Mitchell aveva già lavorato per Sam Spiegel (il produttore de Il ponte sul fiume Kwai) in occasione de La regina d’Africa (The African Queen, 1951) di John Huston, che lo richiese anche per Moby Dick (1956). Quasi al termine di una carriera di tutto rispetto (le prime pellicole di James Bond, Il nostro agente all’Avana / Our Man in Havana, La spia che venne dal freddo / The Spy Who Came in from the Cold) John W. Mitchell coronò il desiderio di essere a fianco di David Lean per l’ultima regia del grande cineasta: Passaggio in India (A Passage to India, 1984). Un caso analogo, senza però risvolti imbarazzanti, è emerso all’inizio degli anni Duemila, quando l’Oscar per il miglior suono viene assegnato a Matrix (nel 2000) ed a Chicago (tre anni dopo). In entrambi i casi il fonico premiato si chiama David Lee, ma si tratta di due persone differenti. Matrix porta alla ribalta internazionale un tecnico del suono australiano che ha iniziato al seguito di band musicali, è passato alle stazioni tv ed infine è approdato al cinema, prima come microfonista poi, dal 1986, fonico di produzione. I contributi a Skinheads (Romper Stomper, 1992), Le nozze di Muriel (Muriel’s Wedding, 1994) e L’isola perduta (The Island of Dr. Moreau, 1996) di John Frankenheimer ne mettono in risalto le capacità, mentre Dark City (1998) costituisce il biglietto da visita per approdare a Matrix.

Il fonico di Chicago, più anziano di una generazione, è invece originario della Scozia e si è fatto le ossa nei documentari della BBC, prima di stabilirsi in Canada e fare di Toronto la principale base operativa a partire dal 1976. Una intensa attività televisiva (con un Emmy nel 1987 per Cause innaturali / Innatural Causes) si alterna ad opere d’autore (Crash, 1996, di David Cronenberg) ed alle grosse produzioni statunitensi (X-Men, 2000) girate in Canada per convenienza fiscale ed eccellenza delle maestranze. Quando escono le nomination di Chicago, il fonico australiano riceve varie mail e telefonate di complimenti ed anche la stampa nazionale cade nell’equivoco, che lo stesso Lee rettifica: ‘Non sono io…ma accetterò le congratulazioni.’ (*) La possibilità di ulteriori scambi viene a cessare nell’Ottobre del 2008, quando il David Lee più anziano muore a Panama City (Panama) all’età di settanta anni.

Dove la confusione regna ancora, stando alla mescolanza di titoli, è nel caso riguardante James Shields. L’ambito è sempre il suono ma stavolta i ruoli sono differenti: un fonico di produzione americano ed un montatore del suono inglese. Anche se la traduzione italiana è pressoché di uso comune il termine sound editing non individua solamente la sincronizzazione tra immagini e colonna sonora: le competenze del capo del montaggio sonoro (supervisor sound editing) vanno dalla pulizia dei dialoghi con eventuale ridoppiaggio (dubbing o looping) al perfezionamento degli effetti sonori, da rielaborare, cambiare ed inserire, siano essi estratti da un apposito archivio sonoro, registrati ad hoc o creati ex novo attraverso manipolazioni di suoni di tipo differente.

James Clyde Shields nasce a Brockton, Massachusetts, il 22 febbraio 1906. Il padre Charles era originario di Southport (Inghilterra) ed era emigrato negli Stati Uniti nel 1883. Shields si trasferisce a New York e trova lavoro come tecnico del suono in una industria cinematografica che, all’avvento del sonoro, può ancora contare sugli studios collegati alle grandi compagnie hollywoodiane (il Vitaphone Studio di Brooklyn, branca della Warner Bros., o il Paramount Studio di Astoria, Long Island). Quando queste sedi vengono chiuse, la produzione cinematografica sulla Costa Est subisce un duro colpo, e la richiesta di personale dimunuisce drasticamente. Shields prosegue l’attività curando la parte sonora di cinegiornali e documentari, esperienza che si rivelerà preziosa. Teresa (1951), una vicenda di reduci narrata con stile realista da Fred Zinnemann e girata principalmente a New York (con sequenze anche in Italia) vede il ritorno di Shields al cinema di finzione ma il titolo che a cui è maggiormente legato il suo nome arriva tre anni dopo e vede Elia Kazan dirigere Marlon Brando sui moli di Hoboken (New Jersey): Fronte del porto (On the Waterfront, 1954). Il successo del film rende Shields uno dei fonici di punta della costa orientale e, dopo un periodo in tv con il Phil Silvers Show, riprende in pieno l’attività cinematografica, collaborando con Robert Rossen (Lo spaccone / The Hustler, 1961, e Lilith, 1964), Sidney Lumet (Lungo viaggio verso la notte / Long Day’s Journey Into Night, 1962), Phil Karlson (I due mondi di Charly / Charly, 1968), Shirley Clarke (The Connection, 1962), George Seaton (Una meravigliosa realtà / What’s So Bad About Feeling Good?, 1968). Firma i suoi ultimi lavori nel 1970 (Amanti ed altri estranei / Lovers and Other Strangers). Il montatore del suono James Michael Shields appartiene alla generazione successiva rispetto allo Shields americano, essendo nato a Shenfield (Contea di Essex, Inghilterra) il 3 Marzo 1931. Assunto presso gli studi Walton Hall, compie l’apprendistato assistendo montatori quali Reginald Beck, Russell Lloyd e Bert Bates. Promosso dubbing editor (sincronizzazione dei dialoghi doppiati in studio), continua l’attività negli studi Shepperton e Twickenham prima di lanciarsi in una carriera da indipendente che lo vede prendere parte, come montatore dialoghi e responsabile di post produzione, alle avventure di James Bond (Una cascata di diamanti / Diamonds are Forever, 1971; Vivi e lascia morire / Live and Let Die, 1973; L’uomo dalla pistola d’oro / The Man with the Golden Gun, 1974; GoldenEye, 1995), ai colossal bellici (I lunghi giorni delle aquile / Battle of Britain, 1969) ai musical (La più bella storia di Dickens / Scrooge, 1972). Alien (1979) gli vale il premio Bafta e segna l’inizio di una proficua collaborazione con Ridley Scott (Legend, 1985; Chi protegge il testimone / Someone to Watch Over Me, 1987; Thelma & Louise, 1991). La filmografia di Shields comprende anche opere di Roman Polanski (Frantic, 1988), Barbra Streisand (Yentl, 1983), il celebrativo Momenti di gloria (Chariots of Fire, 1981) e si conclude con Entrapment (1999). James M. Shields muore a Chiltern (Inghilterra) nel novembre del 2000 ma la notizia viene riportata solo dall’organo di stampa della società dei tecnici del suono inglesi (Amps), inserita in un elenco che comprende solamente i nomi degli scomparsi dell’anno e l’ambito di attività (suono). Questo dato finisce con l’essere associato anche al fonico americano. In realtà James C. Shields si spegne otto anni dopo, il 17 maggio 2008, a Greenport (New York). In quella occasione una breve nota commemorativa compare sul New York Daily News del 20 maggio, a cura del sindacato Meccanici degli Studi Cinematografici (IATSE local 52), dove si segnala che Shields, membro della sezione suono, era iscritto al sindacato…dall’ottobre 1930.

(*) Garry Maddox, Pasvolsky celebrates Oscar call-up with pizza at a pub, 13 Febbraio 2003

 

Federico Magni