La regista, attrice e sceneggiatrice Maïwenn Le Besco approda nelle sale del Cinema Lumière con Mon Roi, suo quinto lungometraggio, premiato all’ultimo festival di Cannes con il riconoscimento a Emanuelle Bercot come miglior interprete della manifestazione, ex-aequo con Rooney Mara premiata per Carol di Todd Haynes.Maïwenn confeziona un film a flashback: il montaggio alterna il presente – nel quale Toni (Emanuelle Bercot) vive in un centro riabilitativo ed è alle prese con un grave infortunio al ginocchio provocato da un incidente sulle piste da sci – al passato, alla travagliata storia d’amore con l’ex marito Georgio.“A volte perdiamo di vista la realtà, andiamo troppo veloci. Il ginocchio rappresenta la capacità di abbandonarsi, di cedere, persino di indietreggiare perché è un’articolazione che si piega solo all’indietro. Il dolore al ginocchio lascia supporre una difficoltà ad accettare un evento della nostra vita e il processo di guarigione presuppone anche un percorso psicologico”.
Con queste parole pronunciate dalla psicologa del centro di riabilitazione, la regista svela il reale intento del film: attraverso l’espediente di una convalescenza forzata, lunga e dolorosa, riflettere a ritroso sull’amore tra Toni e l’ex marito Georgio (Vincent Cassel) e sui precedenti dieci anni vissuti assieme, altrettanto lunghi e dolorosi per la donna. Georgio è quello che definiremmo Don Giovanni o Casanova, o tombeur de femmes per utilizzare un termine francese. È proprietario di un ristorante di lusso, ha contatti con il mondo della moda e vive una vita piuttosto dissoluta. Lei invece è avvocatessa, non particolarmente bella, piuttosto sobria. Tra queste due figure tanto distanti scoppierà un’amour fou.
Il primo periodo sarà felice, intenso e frizzante, Toni rimarrà incinta e, poco dopo, cominceranno i primi problemi: la vita sregolata di Georgio entrerà in forte contrasto con la natura della donna. Cassel, ai blocchi di partenza è un personaggio istrionico, frizzante, divertente, ma procedendo con la narrazione questo suo essere mostra altre sfaccettature corrispondenti a momenti più bui e tesi. Georgio è fondamentalmente un personaggio violento. Una violenza che non esplode mai su un piano fisico, rimane sempre a un livello verbale e comportamentale, fatto di subdole imposizioni, bugie e frequenti tradimenti. Per contro Toni è una donna passiva, sopporta, esplode in scenate isteriche, ma alla fine trova sempre il modo per perdonare o giustificare l’amato e ricadere nella sua rete, fino alla considerazione finale che sembra suggerire la presa di coscienza secondo la quale Georgio potrà essere il suo re solamente su un piano ideale, se tenuto a debita distanza, godendo del suo amore e della sua presenza attraverso il figlio Simbad.
Una storia che cerca di indagare il rapporto di dipendenza tra due persone agli antipodi, riflette sul significato di un certo tipo di amore, sul motivo per il quale, a volte, le persone si mettano nelle mani di uomini o donne dalla natura opposta alla propria e, nel momento in cui si verifica una rottura, nel punto esatto dove c’era stata attrazione, comincia una ricerca disperata di modellare l’altro a proprio piacimento; riflette anche su quanto e come i comportamenti instabili, litigiosi ed egoisti di due persone adulte possano influire negativamente sull’infanzia e la vita di un bambino. Maïwenn sembra suggerire che, in certi casi, solamente la lontananza dei due per il bene comune possa davvero essere utile al figlio. E allo stesso tempo restituire reale valore a ciò che è stato e che si è irreversibilmente guastato. Il film, nell’indagine emotiva di due caratteri opposti, cerca di non fornire un giudizio soggettivo, anche se, considerato il punto di vista dal quale viene presentata la storia, la prospettiva di Toni risulta quella positiva.
Stefano Careddu