Lo scorso dicembre si è festeggiato un anniversario importante. Poco più di venti anni fa, il 10 dicembre 1993, veniva pubblicato Doom, lo sparatutto in soggettiva di id Software realizzato da John Romero e John D. Carmack. Un titolo entrato nell’immaginario collettivo, un caposaldo della storia dei videogiochi (presente nell’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna). Volendo semplificare: Doom sta ai videogiochi come Il mucchio selvaggio sta al cinema. Non c’è dubbio che il titolo id Software abbia influenzato un genere che, oggigiorno, è tra i più popolari. Lo sparatutto muove il mercato, con buona pace di chi gradirebbe una maggior diversificazione dell’offerta (comunque garantita, negli ultimi tempi, dal fiorire di una cospicua produzione indie). Approfondiamo.

Doom non è il primo sparatutto a fare uso della soggettiva. Wolfenstein 3D, un anno prima, aveva reso celebre la software house texana e negli anni precedenti c’erano già stati esperimenti in tal senso. Il primato, in questa sede, ci interessa il giusto. Ci interessa però la soggettiva.

Un punto di vista ormai talmente radicato nel videogioco che si tendono a dimenticare le sue origini cinematografiche. In altre parole, la soggettiva non l’ha certo inventata il videogioco, eppure è al videogioco che tende a essere associata. Forse nel videogioco funziona più che al cinema? Una donna nel lago, film del 1947 di Robert Montgomery, venne girato quasi interamente in soggettiva. L’operazione si rivelò un insuccesso, probabilmente perché mancava quel che il videogioco invece offre: la partecipazione attiva agli eventi narrati. Fermo restando, è bene precisare, che esistono eccezioni positive come Thomas in Love, semisconosciuto film del regista belga Pierre-Paul Renders.

La soggettiva pare insomma aver trovato casa nel medium videoludico, scoprendosi perfettamente a proprio agio in quei mondi virtuali. Dopo essersi resa conto che al cinema rende solo per brevi momenti, ha traslocato altrove.

Stando alle parole di John Carmack, due sono state le fonti di ispirazione per Doom: La casa 2 e Aliens – Scontro finale. In un interessante saggio pubblicato su “Schermi Interattivi. Il cinema nei videogiochi”, Matteo Bittanti  parla dello sparatutto in soggettiva e non a caso parte dal cinema, citando le parole del critico Jason Jacobs, secondo cui cinema e sparatorie sono sempre stati legati a doppio filo.

Potremmo a questo punto tirar fuori dal cappello il tie-in tratto da Doom e uscito nelle sale nel 2005. Un film per niente memorabile, non fosse che nel finale il regista si è improvvisato videogiocatore realizzando un’intera sequenza in prima persona della durata di circa cinque minuti, identica in tutto e per tutto alla messa in scena videoludica, arma compresa. Curioso che questo piano sequenza in soggettiva sia stato accolto come un omaggio al videogioco e non al cinema.