Ennesimo successo della Cineteca di Bologna e dell’Immagine Ritrovata, il Leone d’Oro per il restauro di L’uomo dei cinque palloni rallegra per la visibilità che potrà recare a uno dei film più disgraziati di Marco Ferreri. Visto all’epoca solamente nella versione scorciata e inserita nel film a episodi Oggi, domani, dopodomani – come ricordato dai documenti d’archivio presenti a questo link del Fondo Calendoli -, finalmente il piccolo capolavoro del regista torna al suo progetto originario. Restaurato da Cineteca di Bologna e Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con Warner, con il sostegno di Sordella e Nuovo Imaie, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, L’uomo dei cinque palloni è stato analizzato da Cinefilia Ritrovata pochi giorni fa, all’interno dello speciale che abbiamo riservato a Venezia Classici. Riportiamo di seguito la recensione scritta da Gregorio Zanacchi Nuti.

Girata nel 1965, venne giudicata da Carlo Ponti troppo ostica per il pubblico e ridotta ad episodio di 30 minuti per il corale Oggi, domani, dopodomani (co-diretto insieme a Eduardo De Filippo e Luciano Salce). Due anni dopo il film riesce a guadagnarsi le sale in versione integrale, arricchito da tre scene girate per l’occasione e il nuovo titolo Break Up – L’uomo dei cinque palloni, con cui il produttore sperava di cavalcare il recente successo di Blow-Up di Michelangelo Antonioni.

Marcello Mastroianni è un industriale modello della capitale lombarda: gestisce un’efficiente fabbrica di caramelle, possiede un appartamento suntuoso e frequenta una bellissima Catherine Spaak. Alla vigilia di un fine settimana un dubbio infantile comincia a roderlo: quanta aria bisogna introdurre in un palloncino per farlo esplodere? Insegue quindi la risposta per le vie di una Milano natalizia, perso tra saune, salumerie, ingegneri, filosofi e un delirante club beat pieno degli odiati palloni.

Capace come pochi di sferrare critiche con pesantissima levitas, Ferreri mette alla berlina la borghesia occidentale, sua vittima prediletta come già ne La grande abbuffata e Dillinger è morto. L’inania in cui i personaggi fluttuano inconsapevoli – magistralmente resa dal rapporto tra il capriccioso Mastroianni e l’infantilismo succube della Spaak – si fa chiara appena l’occhio lascia la routine giornaliera. Privo degli strumenti concettuali per allontanarsi dalla bruta fattualità, il protagonista viene travolto da un interrogativo puerile che cresce sino a raggiungere dimensioni metafisiche: è l’erompere del grande pensiero nella piccola quotidianità a mettere in crisi l’industriale, per la prima volta paralizzato da uno scacco esistenziale insolubile con gli strumenti del capitale. Egli può riacquistare la fiducia dell’amante con una cena, ma nessuna spesa gli permette di restringere la sua visione del mondo, ormai tragicamente espansa. La fabbrica, centrale negli still frame che aprono il racconto, è provincia insignificante in uno spazio immenso e minaccioso, in cui i criteri di produttività, efficienza e guadagno rivelano tutto il loro relativismo. Davanti ad un simile panorama il milieu della Milano bene rivela tutta la sua inconsistenza.

L’uomo dei cinque palloni è spietato nello sbeffeggiare crudelmente i suoi personaggi e in esso brillano in nuce tutte le coordinate dell’esperienza autoriale di Ferreri, una delle avventure più radicali e significative del cinema italiano.

Gregorio Zanacchi Nuti