Continua la straordinaria rassegna su Sergej Loznitsa. Abbiamo (ri)visto Blokada, troppo intenso e indispensabile per non tornarci su con una riflessione. 

Uomini e donne, stremate dal freddo e dalla fame, percorrono le strade di una spettrale Leningrado trascinando slitte cariche di sacchi e valigie, ciò che rimane della propria casa avvolto da stracci e coperte come lo sono i corpi senza vita lungo le strade innevate. Blokada è il titolo di questo documentario realizzato da Sergei Loznitsa assemblando immagini d’archivio che testimoniano il lungo assedio di Leningrado durante la seconda guerra mondiale, 900 giorni in cui la città viene tenuta sotto scacco dalle truppe tedesche.

Non un commento fuori campo, non una melodia d’accompagnamento, la settima sinfonia di Shostakovich e i cori dell’Armata Rossa lasciano il posto allo scorrere del tempo, il nostro sguardo è guidato dal suono tangibile della realtà, dei passi barcollanti sul terreno ghiacciato, delle voci indistinte tra la folla, del rumore d’acqua nei secchi riempiti lungo la strada, del tram che nonostante tutto prosegue la sua corsa.

L’immagine, altrimenti silenziosa, prende corpo riacquistando una sua sonorità, vera o presunta, che ne resuscita l’intensità d’azione riducendone la distanza temporale. Contrariamente a quanto avviene in Austerlitz, Loznitsa attribuisce un suono al paesaggio  in assenza di una traccia su cui intervenire, in entrambi i casi è lo scorrere della vita ad avere una propria musicalità.

Nel saggio Immagini malgrado tutto Georges Didi-Huberman compie una profonda e articolata riflessione sul rapporto tra le immagini e la memoria, sostenendo che solo attraverso “la moltiplicazione e la congiunzione delle immagini, sempre lacunari e relative”, riusciamo a mostrare ciò che non si può vedere. Grazie al montaggio possiamo “vedere il tempo”, sono le immagini a creare “l’anacronismo che ce lo mostra all’opera”. Realizzando Blokada il regista osserva l’opera del tempo sonorizzando la quotidianità degli abitanti di Leningrado, i suoi protagonisti sono ombre di un passato distante, dimenticato tra le pagine dei libri che continua a riaffiorare nelle crepe del presente. E ancora Didi-Huberman spiega che dovremmo “imparare a guardare le immagini, imparare a scorgervi ciò cui esse sono sopravvissute. E questo affinché la storia, svincolata dal puro passato (quest’assoluto, quest’astrazione), ci aiuti ad aprire il presente del tempo”.

Loznitsa apre un varco nel tempo restituendo al presente l’orrore e virtualmente anche l’odore del fuoco che divampa tra gli edifici bombardati, delle fosse comuni straripanti cadaveri, dell’inverno rigido che non risparmia nessuno. Ci costringe a fare i conti con un passato concreto nonostante il bianco e nero contribuisca a dare un’aria solenne alla pellicola, segnandone la distanza temporale. Diversamente, in Austerlitz, vediamo come l’assenza di colore aggiunga un’aura di atemporalità alle riprese realizzate nel campo di concentramento. I turisti non sono solo spettatori ma interagiscono con l’ambiente circostante, invadendo lo spazio della storia che, seppure intatto, non potrà mai appartenergli, non riuscendo a scorgere nelle superstiti architetture ciò “cui esse sono sopravvissute”.

Non è facile spiegare il significato che può avere oggi la visione di Blokada, quando, come dice Susan Sontag nel suo Davanti al dolore degli altri, “parcheggiati di fronte a un piccolo schermo (…) possiamo navigare tra immagini e brevi cronache di disastri che avvengono in tutto il mondo”. Dobbiamo prendere atto del fatto che la costante diffusione delle informazioni non ha di certo portato a un aumento dell’attenzione e della sensibilità da parte del pubblico, che siano filmati d’epoca o notizie dell’ultima ora la loro forza d’impatto è similare, ma questa non è una novità. Le immagini non vogliono miracolosamente risvegliare le coscienze, non pretendono tanto, ma vorrebbero innanzitutto aiutarci ad “analizzare le ragioni con cui le autorità costituite giustificano le sofferenze di massa (…), lasciamoci ossessionare dalle immagini più atroci (…), non c’è nulla di male nel fare un passo indietro e pensare. Nessuno può pensare e al tempo stesso colpire un altro”.

Cecilia Cristiani