Durante il festival del Cinema Ritrovato 2013, la giovane redazione di Cinefilia Ritrovata – capitanata da alcuni cultori di lungo corso – si vide comparire improvvisamente nella saletta delle riunioni un signore carismatico e gentilissimo. Pochi ne videro gli occhi, perché era nascosto dietro una piccola macchina fotografica nera, analogica. Si scusò per il disturbo, fece quattro o cinque scatti, e andò via silenzioso come era comparso. I giovanissimi furono stupiti e chiesero ai più esperti chi fosse quel signore. Fu loro risposto che avevano avuto l’onore di essere immortalati da Mario Dondero. Ne vollero sapere di più, e l’incontro si trasformò in una piccola lezione di storia della fotografia e del cinema. Uno dei capo-redattori, Alberto Spadafora, decise allora di incontrarlo per strappargli due battute tra un film e l’altro. Ora Mario non c’è più, ma il modo più dolce per noi di ricordarlo è riportare un passo esemplare di quella rapida intervista: “Io penso che un fotografo si ritrovi ad appassionarsi di cinema solo se è spinto dal desiderio innato di osservare la realtà che lo circonda, di documentare la vita, imprimerla, fermarla, riprodurla. Serve talento ma soprattutto un dono preciso, quello della narrazione. Che io mi sia ritrovato per caso sul set di Zurlini durante i giorni di lavorazione di Le soldatesse nel 1965 o che io abbia intenzionalmente seguito Gino Strada e fotografato gli ospedali di Emergency in Afghanistan… Non vedo differenze tra le esperienze. Sono tutte occasione di aprire gli occhi sul mondo, e di narrare la vita attraverso le immagini”.