Uscito da poco nelle sale italiane, l’esordio lungo di Marco Danieli, classe 1976, presentato a Venezia nel corso delle Giornate degli Autori, ha fatto già molto parlare di sé, per essere probabilmente il primo film a farci entrare nel mondo dei Testimoni di Geova.
Cosa sappiamo davvero di questo movimento religioso, percepito per lo più come una sorta di setta dalla popolazione “del mondo”? Secondo il rapporto del loro Corpo direttivo al 2015, sarebbero stati censiti 8.220.105 di testimoni di Geova attivi nel mondo. Un numero certamente non trascurabile di persone impegnate nella predicazione mondiale di una verità “cristiana” altra e “restaurazionista” e nell’attività di “studenti biblici”. La prima cosa che scopriamo tramite la visione del film, grazie alla sua vena documentaristica (anche se non esageratamente calcata) è che a parte lo smoderato uso dei citofoni per entrare in contatto con le persone “del mondo” e il fatto di non festeggiare i compleanni, per una vocazione alla spiritualità e frugalità della vita, è di saperne davvero poco a riguardo.
Così per 100 minuti la diciannovenne Giulia (Sara Serraiocco) ci trasporta nel suo mondo, mostrandoci gli effetti di una ribellione silenziosa che la condurrà piano piano ad abbandonare la Verità di Geova in cui è nata, cresciuta, è stata educata, per sperimentare, attraverso il medium affrancatore dell’amore, un nuovo mondo, certamente imperfetto e a volte malvagio, ma liberamente scelto dalla sua volontà di donna.
Nonostante la sottomissione iniziale in cui vive la giovane, sotto l’egida del suo credo religioso e poi del padre-padrone di una famiglia che si arroga il diritto delle più intime scelte personali, Giulia finirà per mostrarci un carattere inaspettatamente forte e determinato, sfoggiando un coraggio sfrontato e prepotente, che la porterà “fuori di sè”, come l’amore che prova per un ragazzo “libero” del mondo, un ragazzo non oppresso dal giogo di una fede forse troppo castrante per essere a lungo sopportata.
Sara Serraiocco ci regala una performance priva di orpelli, ma energica ed intimista, come la sua presenza scenica acqua sapone e occhiaie naturali, proprio per questo ancora più incisiva rispetto alla civiltà dell’immagine in cui è proiettata. L’attrice è capace di evocare il ricordo della giovane Natalie Portman di Léon, nei tratti comuni della disperazione tragica per un amore impossibile, e della testardaggine con cui decide di portarlo avanti, a tutti i costi.
Insieme al protagonista maschile del film Michele Riondino (nella parte di Libero), già noto al grande pubblico per aver vestito i panni del Giovane Montalbano nella fiction televisiva di Tavarelli o per la nomination come miglior attore non protagonista ai nastri D’Argento 2009 per il Passato è una terra straniera di Vicari, hanno vinto per le loro interpretazioni il Premio Pasinetti a Venezia. Probabilmente La ragazza del mondo soffre solo per una certa parzialità del racconto; si nota l’assenza dei punti di vista degli altri protagonisti della storia o un approfondimento sui co-protagonisti (i genitori della ragazza, il Direttore delle adunanze, l’insegnante di matematica) tra i quali spiccano i volti di Pippo Del Bono e Marco Leonardi. Ma se è vera per i Testimoni di Geova la frase che campeggia nel salone delle adunanze del film “Esiste una sola via che conduce alla verità”, allora comprendiamo meglio anche la parzialità del racconto, in una prospettiva di immedesimazione totale con la protagonista e il suo ambiente.
Al regista riconosciamo un merito soprattutto, quello di essere riuscito in un’impresa alquanto ardua: mantenere credibilità e interesse da parte dello spettatore, pur raccontandoci di un mondo, quello di Geova, che per linguaggio, costumi, moralismi, serietà risulta così astrattamente slegato dalla nostra realtà quotidiana e consumistica. Un mondo in cui questi sono dialoghi possibili fra madre e figlia: “Giulia, ma davvero vuoi frequentare le persone del mondo? …Anche gli epicurei non facevano niente di male, ma allora perché Paolo sconsigliava ai Cristiani di frequentarli? Perché non adoravano il vero Dio”; o con il proprio “Padre” spirituale: “Chi pratica la fornicazione pecca contro il proprio corpo …sei stata disassociata, dovrai sottoporti ad un periodo di riprensione se poi darai prova di esserti pentita potrai tornare nella verità”.
Ed è per questi forse che La ragazza del mondo avvince lo spettatore, lo scaraventa in un mondo parallelo, eppur reale, un mondo vissuto come un incubo per l’inflessibilità dei suoi rigidi schemi. Un mondo in cui la luce piena è data solo nelle scene di adunanza nel “Regno”, mentre le altre gravitano in zone d’ombra, ma tanto più appetibili perché reali e terrene.
La voce di Dio si affievolisce per Giulia, ma non scompare, del resto non si può smettere di essere testimoni di Geova , si può interrompere il proprio legame con la collettività, ma l’abito culturale, la profondità morale, restano appiccicati per sempre ai suoi adepti.
Francesca Divella