Per augurare un buon fine 2016 e il miglior inizio 2017, ecco la recensione di uno dei film in sala al Lumière, il molto amato Lion.

Saroo è un bambino indiano di poco più di cinque anni. Vive nella miseria ma è circondato dall’affetto di una famiglia amorevole, almeno fino a quando non si addormenta in una stazione ferroviaria di periferia e per risvegliarsi su un treno diretto a Calcutta. Un viaggio di 1600 chilometri su un convoglio deserto lo trascina lontano da tutti i suoi affetti, in una megalopoli ostile e caotica da cui lo salva solo l’adozione da parte di una benestante coppia australiana. Vent’anni dopo, un dolcetto indiano di proustiana memoria risveglia in Saroo ricordi ormai assopiti, e il ragazzo dà così inizio a una travagliata ricerca che inizia da Google Earth e finisce nelle campagne del Nord dell’India.

Lion – La strada verso casa segna il debutto alla regia di un lungometraggio per Garth Davis, cineasta australiano con alle spalle una brillante carriera nella direzione di spot pubblicitari. Il film poggia sul solido impianto narrativo del melodramma familiare, e pare un repertorio di tutti i temi di forte presa sul grande pubblico – l’adozione, i conflitti generazionali, la ricerca delle proprie origini, l’incontro tra due culture.

Il coinvolgimento emotivo è presto assicurato, mentre il ritmo narrativo ha esiti diseguali: se nella prima parte ambientata in India le vicissitudini di Saroo-bambino scorrono con la leggerezza di una favola, nella seconda parte del film il cast ben assortito (Dev Patel, Rooney Mara, Nicole Kidman e David Wenham) non basta a scongiurare del tutto il pericolo dell’eccesso di glicemia, e la vicenda avanza un po’ più faticosamente tra ridondanze e ripetizioni.

Il film risente senza dubbio di una fascinazione per l’Oriente che relega l’India a scenario lontano ed esotico (uno fra tutti The Millionaire), ma in questo caso l’immaginario pop e sgargiante di Danny Boyle è sostituito da un’apprezzabile volontà di realismo, che abbandona gli scenari “da cartolina” per soffermarsi sulle periferie sterminate delle metropoli indiane. La stessa verosimiglianza è perseguita anche a livello linguistico nella prima metà del film, in cui i pochi dialoghi sono unicamente in hindi e bengalese.

La regia, completamente al servizio della vicenda, appare sobria e priva di una forte marca individuale, ma regala un guizzo inaspettato nell’interessante montaggio alternato tra la visione aerea di Google Earth (un po’ come in un desktop movie) e le panoramiche dall’alto che mimano il percorso di Saroo che improvvisamente ritrova la “strada verso casa” del titolo. Nel complesso, Lion è un film ben realizzato ed efficace, che malgrado qualche lungaggine di troppo non fallisce nel tentativo di regalare forti emozioni con tocco leggero ed elegante.

Maria Sole Colombo