In apertura una tragedia: un aereo che perde il controllo e si schianta sui grattacieli di New York. In chiusura un miracolo: l’ammaraggio dello stesso aereo, con un’intera città che si stringe intorno allo scampato pericolo. Fra i poli opposti ma complementari di ciò che poteva accadere e di ciò che è realmente successo, si dipana Sully, recente film di Clint Eastwood in programmazione in questi giorni al cinema Lumiere.

Una serie di flashback ricostruiscono la vicenda di quello che è passato alla storia come il “Miracolo sull’Hudson”: il 15 gennaio 2009 il pilota Chesley Sullenberger, detto Sully, è alla guida del volo Us Airways 1549 partito da “La guardia” di New York, quando l’aereo è vittima di un bird strike, un impatto con uno stormo di oche canadesi che mettono fuori uso entrambi i motori. In pochi secondi Sully capisce che il tentativo di ritornare in aeroporto si traduce in un sicuro schianto fra gli edifici e che l’unica via di salvezza è quello che potrebbe sembrare una morte certa: un ammaraggio sul fiume Hudson. I fatti danno ragione a Sully: la manovra d’emergenza riesce perfettamente, tutti vengono tratti in salvo. La Ntsb, l’agenzia statunitense che indaga sugli incidenti nei trasporti, invece lo mette sotto inchiesta per appurare la correttezza di una scelta pericolosa.

Di nuovo Clint Eastwood nasconde il cuore del film sotto le ceneri di una storia apparentemente semplice: l’uomo comune che mentre fa il suo lavoro diventa eroe ma si ritrova vessato e accusato da una burocrazia incurante del risultato ultimo. Partendo da questo pretesto il film va oltre, non cerca torti e ragioni, buoni e cattivi, eroi e burocrati. Così come non riconduce l’individualismo eroico a superficiali interpretazioni politiche ed ideologiche. Alla domanda posta da un giornalista a Sullenberger al recente Festival di Torino se si sentisse più vicino agli ideali di Trump o della Clinton, il vero Sully ha prontamente risposto: “Di nessuno dei due. La mia storia rappresenta valori universali di umana civiltà”. E se proprio una domanda vogliamo farcela, allora quella che aleggia nel film è sottesa alla sottile differenza che passa tra una possibile tragedia e il miracolo. E la risposta del trentacinquesimo film di Eastwood potrebbe trovarsi in quei 35 secondi di scelta ad alta quota, che portano Sully a prendere una decisione piuttosto che un’altra. Quell’umanissimo scarto rispetto ai protocolli e alle probabilità, quel fattore umano e imprevedibile che farà la differenza e graverà per sempre, nel bene e nel male, sulle spalle di chi sceglie e di chi subisce la scelta.

E la narrazione sembra seguire proprio questa pista. Subito dopo aver appurato che tutti i passeggeri sono salvi, per Sully inizia il vero tormento: continua ad interrogarsi sulla bontà della propria scelta e sulla propria identità. Continua a vedere il suo aereo che si schianta tra i grattacieli, continua a guardarsi con perplessità l’anello che porta al dito. Chi sono io – sembra chiedersi Sully- un pazzo che mette a repentaglio un intero equipaggio o un eroe che lo salva? Forse entrambe le cose, ci suggerisce Eastwood, che questo tema ha già mirabilmente sfiorato in American Sniper.

Sullo schermo poi Sully gode della magistrale interpretazione di Tom Hanks, alla sua prima collaborazione con Eastwood. Truccato fino a sembrare veramente Sullenberger, Hanks incarna perfettamente l’uomo comune, pacato, gentile e risoluto ma anche devastato dalla responsabilità che si assume. Così come Aaron Eckhart è assai credibile nell’interpretare il fedele copilota che sostiene il suo capitano nella prova e Laura Linney brava e misurata nell’indossare i panni della moglie che raccoglie ed accoglie le paure del caso.

La grandezza dell’86enne cineasta americano oltre a parlare di nuovo ai nostri cuori, brilla di nuovo ai nostri occhi di spettatori, incantati dal formato Imax che con la prima scena ci fa schiantare fra i grattacieli e nelle ultime ci fa ammarare direttamente sulle gelide acque dell’Hudson. Eastwood insomma ci inchioda nuovamente allo schermo, raccontandoci una storia vera e rivelandoci tutto dall’inizio, quindi senza nessuna suspense, senza nessuna morbosità da disaster movie, ma con un’insanabile curiosità e ammirazione per l’animo umano, per le sue zone di luce e di ombra. E parlandoci di come ci si trovi a salvare vite umane e a smarrirsi nei dubbi, riesce anche a farci sorridere, come quando ironizza sul cocktail “Sully” – nato sull’onda dell’entusiasmo americano per il miracoloso ammaraggio – fatto di Grey Goose e di una spruzzata d’acqua.

Lorenza Govoni