Tratto dal bestseller La donna in gabbia di Adler-Olsen Jussi edito da Marsilio, l’omonimo film di Mikkel Nørgaard è stato proiettato al cinema Lumiere di Bologna nell’ambito della due giorni dedicata al Nordic Film Festival. Come sottolineato dagli organizzatori del festival presenti in sala, sia il libro che il film hanno avuto grande successo nei Paesi del Nord tanto che il primo romanzo – che ha venduto 8 milioni di copie ed è in uscita in 32 paesi – ha dato vita ad una serie mentre il sequel cinematografico è già in lavorazione.

Al centro della vicenda il burbero e insopportabile Carl Morck (il Nikolaj Lie Kaas già visto in Idioti di Lars Von Trier e in Angeli e demoni di Ron Howard), un detective della squadra omicidi danese che per punizione viene assegnato al Reparto Q, dove si archiviano vecchi casi non risolti. Reparto che è in realtà uno scantinato di Polizia buio e polveroso, necessario purgatorio ad espiare un’operazione precedentemente guidata da Carl che è costata la vita ad un collega e l’uso delle gambe al suo migliore amico. A dimostrazione che il talento investigativo può andare a braccetto con gli errori più gravi e anche con un pessimo carattere, Mark e il suo simpatico assistente Assad (il convincente attore libanese Fares Fares apparso anche in Zero Dark Thirty) recupereranno un caso archiviato frettolosamente come suicidio ma che in realtà si rivelerà un rapimento. Il caso in questione riguarda la giovane e bella Merete, parlamentare svedese che durante un viaggio in traghetto con il fratello disabile scompare misteriosamente.

Anche se la trama non aggiunge novità al cliché del thriller nordico (la depressione del poliziotto, la multiculturalità, la disabilità, la ragazza scomparsa, l’apparente tranquillità nordica che cela killer psicopatici), La ragazza in gabbia è un film riuscito, avvincente, a tratti ironico e senza cali di tensione. Dinamiche e atmosfere ricordano recenti serie televisive poliziesche (alcune ormai di altissimo livello) ma nel complesso non deludono affatto le aspettative nonostante si tratti di un genere a rischio déjà vu perché molto frequentato (e in questi ultimi anni soprattutto dalla narrativa dei Paesi del Nord).

Scelta vincente della trasposizione cinematografica – oltre alla bella interpretazione dei due detective e all’efficace sceneggiatura curata da Nikolaj Arcel (regista di Royal Affaire e sceneggiatore di Uomini che odiano le donne) e dall’autore del romanzo – è l’aver equilibrato la narrazione basandola non esclusivamente sul rapimento ma anche sulle vicende personali irrisolte dei vari personaggi. Carl è divorziato, odiato dai colleghi, ha un figliastro insopportabile e un carattere impossibile. Merete è anaffettiva, votata alla cura del fratello e con un orribile trauma infantile alle spalle. Questa scelta narrativa – sottolineata dalla traduzione in inglese del titolo originale Kvinden i buret con The keeper of lost causes (Il custode delle cause perse) – mette l’accento sulla parte più interessante della vicenda: il fascino delle cause perse, sia che si tratti di polverosi casi di Polizia che di piccole e grandi sconfitte personali.

Lorenza Govoni