Piena atmosfera ellenica in questi giorni al Lumière grazie alla retrospettiva dedicata al cosiddetto Nuovo Cinema Greco degli anni Duemila. Ma – come sanno cinefili e storici – la dizione “nuovo cinema” è tipica delle onde anni Sessanta, ed è categoria utilizzata da allora. Si dovrebbe dunque dire “nuovo-nuovo cinema greco”? O peggio “neo-nuovo cinema greco”? Pessime scelte, così come “neo-neorealismo” nel caso del cinema italiano (se ne è parlato a proposito di Non essere cattivo di Caligari). Meglio confermare i momenti di innovazione ribattezzandoli allo stesso, modo con la cura di esplicitare la differente situazione rispetto al passato.
E in effetti, il Nuovo Cinema Greco degli anni Sessanta/Settanta ad Atene e dintorni ebbe caratteristiche peculiari. Ce le ricorda Silvana Silvestri (estraiamo alcune righe dalla sua voce sul cinema greco tutto, presente nella Enciclopedia del Cinema Treccani):
“Con l’avvento della dittatura dei colonnelli (21 aprile 1967) il governo sostenne il cinema nazional-popolare; tuttavia, pur in questo nuovo scenario, il film che si affermò a livello internazionale fu Anaparastasi (1970; Ricostruzione di un delitto) di Anghelopulos, film chiave nella storia del cinema greco che, narrando le vicende storiche della G. del dopoguerra, ne portava alla luce le contraddizioni sociali e culturali.
Alcuni registi preferirono espatriare, come Cacoyannis, Kunduros, Roviros Manthulis, Dimitris Kollatos e Dimos Theos che fece uscire all’estero il suo film bloccato dalla censura Kierion (1968, un nome che indica la G. come Paese senza più identità), sull’assassinio di un giornalista americano attribuito ai comunisti e in realtà opera dei servizi segreti. Iakovos Kabanellis, autore di teatro e sceneggiatore di film come Stella e O drakos, girò un canto di libertà come To kanoni ki t’aidoni (1968, Il cannone e l’usignolo) e Constantin Costa-Gavras, che era già espatriato, intervenne contro la giunta militare con Z (1969; Z ‒ L’orgia del potere) dal libro di V. Vassilikos sull’assassinio del deputato socialista G. Lambrakis.Nel 1974 la locuzione Nuovo cinema greco (NEK, Neos Ellenikos Kinematografos) comparve per la prima volta sulla rivista “Film”, diretta dal regista d’avanguardia Thanassis Rentzis, autore di Vio-grafia (1975) e Corpus (1978), segretario dell’associazione dei cineasti e in seguito direttore del Festival di Salonicco.
La situazione greca era ben diversa dai contesti da cui muovevano le nouvelles vagues di altri Paesi europei, ma il nuovo cinema greco ne riprese le tendenze di fondo, qualificandosi soprattutto per la cesura con gli stilemi popolari e agiografici del cinema commerciale legato alla dittatura. Tra i film e i nomi da ricordare in questa nuova fase: Evdokia (1971) di Alexis Damianos, Meres tu ’36 (1972; I giorni del ’36) e O thiasos (1975; La recita) di Anghelopulos, Kraniou topos (Luogo del cranio, 1973) di Kostas Aristopulos, Ta chromata tis iridos (1974, I colori dell’iride) di Nikos Panayotopulos, Modelo (1974) di Kostas Sfikas, Happy day (1976) di Pandelis Vulgaris.
Il nuovo cinema greco si fece conoscere e apprezzare all’estero: I tempelides tis eforis kilados (1978, I fannulloni della valle fertile) di Panayotopulos fu premiato al Festival di Locarno, O Megalexandros (1980; Alessandro il Grande) di Anghelopulos ebbe il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, Rembetiko (1983) di Kostas Ferris vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino.”