Lacrime, sudore e sangue per diventare un musicista affermato nella storia di Andrew, batterista alle prime armi in una prestigiosa scuola di musica newyorkese, scelto da Terence Fletcher, rispettato e temuto insegnante, per far parte della sua orchestra jazz. Un “full metal jazz” ideato da Damien Chazelle, oggi sugli scudi per le 14 candidature di La La Land.
Un colpo di frusta (whiplash) al cavallo per farlo correre più forte è la filosofia di Fletcher (l’importante è arrivare primi al traguardo e se il cavallo muore qualche lacrima e poi si ricomincia con un altro), e di colpi Andrew – e lo spettatore con lui – ne subirà molti, in un crescendo di violenza verbale e psicologica che lo spingeranno oltre i propri limiti.
Il regista Damien Chazelle cattura lo spettatore fin dall’inizio e non lo lascia più, esasperando alcuni toni (la giornata quasi fantozziana del concorso fuori città) ma riuscendo sempre a sorprendere, con una regia palpitante che restituisce mirabilmente la dedizione, la sofferenza e la fatica necessarie per suonare ad alto livello.
Probabilmente tra i film che meglio hanno rappresentato la passione per la musica, con una colonna sonora di jazz bebop potente ed incalzante (nella quale spiccano i brani Caravan di Juan Tizol e Duke Ellington e Whiplash, che da il nome al film, composto da Hank Levy e reso famoso soprattutto nella versione di Don Ellis del 1973), l’opera di Chazelle è anche (o soprattutto) una riflessione sull’ambizione. Al centro c’è il rapporto quasi sadomasochistico tra un insegnante frustrato per non essere diventato un grande musicista che, tentando di forgiarne uno, insegue la sua gloria riflessa, ed uno studente con uno sfrenato desiderio di emergere, disposto a calpestare ogni cosa (il prossimo, gli affetti e se stesso) per raggiungere il suo obiettivo.
Ed è il personaggio di Andrew uno degli elementi più interessanti ed originali del film. Raro trovare una vittima di continue violenze e soprusi, con cui naturalmente lo spettatore è portato a solidarizzare e ad immedesimarsi, essere allo stesso tempo una figura sostanzialmente sgradevole (perfetta in tal senso la scelta di Miles Teller, una faccia che invoglia a prenderlo a schiaffi, come in effetti fa Fletcher), arrogante e competitiva, che intimamente disprezza chiunque non aspiri a qualcosa di grande (la fidanzata, il padre, i parenti, oltre alla stragrande maggioranza del genere umano). Questa è una delle basilari differenze con film in cui il protagonista è un eroe positivo che lotta e si allena duramente per affermarsi (ad esempio in Rocky o Flashdance).
Innovativa è poi l’idea di applicare le dinamiche di un addestramento militare ad un ambito solitamente considerato romantico ed etereo come la musica. Meno originale è sicuramente il personaggio di Fletcher (palesemente plasmato sul sergente Hartman di Full Metal Jacket), ma che – anche grazie alla stupefacente interpretazione di J. K. Simmons (meritatissimo Premio Oscar) – diventa una memorabile (ed a tratti anche perfidamente divertente) quintessenza della crudeltà mentale, che umilia, offende ed utilizza i più sporchi trucchi psicologici per spingere fino al limite i musicisti in cui vede un potenziale talento, ma anche semplicemente perché è nella sua indole ed ha il potere di farlo.
Andrew e Fletcher, vittima e carnefice, figlio e padre padrone, come i duellanti di Conrad (e del bellissimo film di Ridley Scott) si detestano, si scontrano ma condividono lo stesso codice d’onore. I due in fondo si rispettano e si capiscono, entrambi votati ad uno scopo superiore (l’aspirazione all’eccellenza e alla gloria, nel totale rifiuto della mediocrità) che li unisce.
Andrea Zacchi – Associazione Culturale Leitmovie