Il ritorno in sala di Per un pugno di dollari, per di più in tenitura prolungata, permette di rivedere il film di Sergio Leone (e gli altri due della trilogia restaurata dalla Cineteca di Bologna) non solamente come un evento mediatico ma come uno spettacolo di prima visione. Verranno dunque compianti i rivali del capolavoro leoniano, impossibilitati a reggere il confronto – con qualche resistenza proprio da parte Clint Eastwood, a sua volta in sala con l’ultimo film da regista, Jersey Boys: paradossi della storia del cinema. Su queste righe, nell’imbarazzo della scelta, peschiamo dal mini-sito dedicato al film alcune righe d’epoca di Mario Soldati, che ci ricordano tra l’altro di come non tutti i critici e gli intellettuali dell’epoca avessero sottovalutato Leone. Segue.

Ma devo pur cercare di spiegare il successo di questo benedetto film! Devo pur cercare di capire perché è piaciuto tanto ai miei figli!
Le prime impressioni sono state di qualche cosa di diverso. Più duro, mi dico, più netto dello stesso Ford. Con particolari fortemente realistici, pesanti, massicci: il calcio al bambino, e il padre del bambino calpestato ripetutamente… La fotografia, però, mi accorgo che è insolitamente brutta, per un film americano: e, più che brutta, sciatta, sfocata, con i colori tutti virati in una generale tintura rossastra. Tuttavia, in principio, ho l’impressione che anche questa sciatteria fotografica sia voluta, sia cercata: per fare vero, crudo, anzi crudele: per non abbellire la realtà, ma per darla in tutta la sua atrocità: terre desolate, tra il Messico e il Texas, rocce e deserti, prepotenze e soprusi di due famiglie di banditi che terrorizzano i poveri peones, trattandoli peggio che schiavi.
A un tratto, mi accorgo di un errore. C’è una sequenza, che comincia con un gran vento, con la polvere del deserto sollevata in mulinelli in mezzo agli attori che recitano. Bene, mi dico ancora, benissimo: deve essere proprio così, in quei paesi infernali. Ed ecco, a un tratto, senza nessuna ragione, la polvere e il vento cessano, e la sequenza continua con inquadrature di cielo terso e calmo, di panni fermi, di colori lindi. Il vento era dunque involontario. E l’esecuzione del film è, in fondo, trasandata, economica. Non si sono neanche preoccupati di omologare tutta la sequenza, o col vento o senza. Da quel momento, dalla scoperta di questo errore tecnico e che, in un film veramente bello, poteva anche essere perdonato, ho cominciato a capire com’era fatto Per un pugno di dollari. È, davvero, un grande trucco messo in opera con avvedutezza e decisione, e, per quanto si proponeva, perfettamente riuscito.

Mario Soldati, Nascita del western italiano (1964), in Da spettatore, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1973