Lido di Venezia, 1987. Edizione forse sonnacchiosa. Il cinema italiano è in crisi. Qualcosa, tra le produzioni più piccole, si muove. Nuovi registi cinefili si affacciano. In mezzo al programma, salta fuori quasi all’improvviso un piccolo noir ambientato sul Delta del Po. Un film alieno, originalissimo, fragile ma entusiasmante, un gesto cinematografico di un purezza e di una novità assolute: Notte italiana. Tra i recensori più acuti, geniali e preparati si distingue Alberto Farassino. Anche lui non c’è più, e ci manca, così come ci mancherà Carlo Mazzacurati. Erano avvicinati dalla cinefilia e dalla stima reciproca. La recensione dove Farassino scopriva Mazzacurati si può leggere qui, su Repubblica dell’1 settembre 1987. Ci è sembrato bello unire nel ricordo due persone per bene. E bello anche tornare a quel primo film, e ricominciare a guardare il suo cinema, da capo. A seguire alcuni stralci del pezzo.
“Se sarà vera gloria lo sentenzierà il pubblico dei cinema: certo è che, qui alla Mostra, Notte italiana di Carlo Mazzacurati è stato il film che finora ha avuto in Sala Grande l’applauso più lungo e affettuoso. A Venezia, i giovani film italiani sono destinati quasi sistematicamente alla sopra o sottovalutazione: come è sufficiente qualche oscurità o qualche battuta infelice per farli fischiare, così basta che scorrano senza intoppi e strappino qualche sorriso per essere portati alle stelle. Questo è il gioco del festival, e se tutti si danno un gran daffare per giocarlo vuol dire che gli va bene così. Ma è vero che Notte italiana è un film senza errori, che dà più di quel che promette, piccolo ma ben confezionato e nel senso migliore del termine. (…) Mazzacurati, pur essendo di formazione cineclubistica, non va a citazioni e ricalchi. Il suo protagonista – un avvocato padovano interpretato con garbo e ironia da Marco Messeri – non è, finalmente, un cinefilo ma è proprio un cinofilo, ha un bellissimo cagnone bianco che deve portare in pensione quando viene incaricato di fare una perizia su certi terreni del delta del Po destinati a essere inclusi in un parco naturale.
(…) Ma una delle qualità del film è di non rincorrere subito la sua trama, e di prendere invece tempo a farci conoscere bene i suoi personaggi e ambienti. Più che una storia, seguiamo allusioni, elementi ricorrenti, ci accorgiamo che ogni tanto si può anche ridere e lo facciamo volentieri. (…) Poichè il film diventa un giallo con delitti, appunto, molto italiani: non tanto cadaveri e sangue quanto intrallazzi, tangenti, piccole e grandi ruberie, una storia di metano, polli, macchinari clandestini, materie prime dell’ economia sommersa. E un po’ di moralismo c’è, in tutto questo, ma, all’opposto che nei film di Moretti, esso si riscatta per essere misurato invece che radicalizzato, e distribuito su una collettività invece che su personaggi emblematici. (…) La sua sostanza cinematografica è buona e non ha bisogno di proteggersi con le suggestioni della trama e i compiacimenti della denuncia”.