Georgia, confine con la Repubblica di Abcasia. Sul fiume Inguri, in un luogo vergine agli occhi dei più, incontaminato e deserto, ogni primavera si formano dei lembi di terra che scompaiono con l’arrivo dell’inverno. Un vecchio uomo e sua nipote si stabiliscono qui e, metodicamente ed instancabilmente, erigono una baracca di legno in cui vivere durante il periodo caldo. Piantano del grano mentre il tempo scorre lento, scandito solo dall’arrivo e dalla scomparsa del sole. I frutti di questa terra verranno raccolti e serviranno a sostentarsi durante l’inverno. L’equilibrio silenzioso della coppia viene disturbato soltanto dal passaggio di qualche barca dell’esercito georgiano intenta a controllare che non vi siano ribelli nascosti. L’arrivo di un dissidente, ricercato ed insediatosi sull’isola per breve tempo, conferisce nuovo ritmo al film, in proiezione al cinema Lumière.

George Ovashvili, regista georgiano, elegge una striscia di terra precaria a palcoscenico della sua storia. Corn Island  è capace di muoversi con maestria tra l’osservazione silenziosa e apparentemente documentaristica di un luogo e un film a tinte thriller, con colpi di scena ben sistemati che conferiscono movimento all’opera. Se in un primo momento, infatti, il tempo del film è dilatato ed esteso, adagiato nell’osservare una terra liminare e sconosciuta, nella seconda parte alcuni cambi di rotta risultano necessari per determinare uno sviluppo nei sentimenti dei protagonisti e far esplodere una tensione latente e sottaciuta che si era precedentemente creata.

Il motore propulsore di Corn Island non risiede soltanto nella volontà di raccontare una natura maligna e leopardiana, che dà e prende, ma anche in quella di evocare senza giudizio alcuno un conflitto sconosciuto e dimenticato (la guerra tra la Georgia e l’ora indipendente regione di Abcasia) e di scrutare un’adolescenza che sta per sbocciare (l’insofferenza della ragazzina esiliata su un isolotto con il nonno). Il movimento lento che caratterizza la prima metà del film, perfettamente restituitoci dai calibrati movimenti di macchina e da una fotografia potente, è un pretesto necessario per trascinare la vicenda ad uno stadio successivo, dove i tre centri propulsori della storia si intersecano e scontrano in un crescendo di tensione.

Candidato all’Oscar 2014 e vincitore al festival di Karlovy Vary, Corn Island è un film quasi muto, dove la parola risulta superflua: l’ottima performance degli attori protagonisti e l’indubbia bravura di Ovashvili con la camera permettono all’opera di reggersi da sé, anteponendo la forza dell’immagine cinematografica, quasi fotografica, allo sviluppo della vicenda, che si concentra in uno spazio estremamente limitato. Il tema del rapporto tra uomo e natura, sviscerato in moltissimo cinema, qui assume le valenze di una preghiera di vita e di morte, diventando il racconto non di una lotta impari ma di una relazione lenta. Un temporale fortissimo spazza via l’isola e quel po’ di terra che la costituisce, costringendo i due a fuggire: questo è il ciclo dell’esistenza e l’impotenza con cui possiamo assistervi è l’unica consapevolezza.

Caterina Sokota