L’incontro con il Kronos Quartet e il loro rapporto con la musica di Clint Mansell ci porta a riconsiderare film e colonna sonora di Requiem for a Dream.

Film scandalosamente viscerale, Requiem for a Dream è forse la summa di quella fisicità tipica del cinema americano a cavallo del secolo. La riflessione sul corpo come rappresentazione materiale della psiche o dell’interiorità dei protagonisti tipica di Darren Aronofsky (π – Il teorema del delirio, The Wrestler o Il cigno nero), trova qui la sua espressione più profonda e contorta, rivolta com’è a dare forma ai ripiegamenti su se stessi dei personaggi in scena, le cui dipendenze da droghe sono difatti alimentate dall’assimilazione delle stesse nel proprio organismo.

In questa direzione va il lavoro sul sonoro del regista, che accentua i rumori di inalazioni, deglutizioni e iniezioni quasi a creare una disturbante sinfonia fisiologica; tutti i preparati destinati a entrare in circolo sono accompagnati dai suoni amplificati delle loro assunzioni: l’effetto di straniamento che ne scaturisce aumenta con l’accrescere del bisogno delle sostanze, sotteso inoltre da un commento musicale in divenire che segue  il loro processo dei personaggi.

Affidata al compositore Clint Massell, la colonna sonora è eseguita dal Kronos Quartet, ensemble d’archi specializzato in musica minimalista contemporanea che spazia dal jazz al rock fino alla più audace ricerca sperimentale. Sin dalla suggestiva overture prima del titolo del film, in cui è udibile il richiamo del direttore d’orchestra (Aronofsky stesso) verso i musicisti intenti ad accordare gli strumenti,  le sonorità di Requiem sono pensate in funzione delle immagini, per enfatizzarne gravità e drammaticità. Il regista definisce il suo un “film di mostri. Solo quando qualcosa va male senti la musica”: le disarmoniche linee melodiche basse di archi e sintetizzatori vengono così a marcare a livello uditivo le fasi del racconto, in base all’andamento di un montaggio sempre in accelerazione che culmina nell’orgia visiva finale.

Le traumatiche esperienze percettive attraverso cui i singoli personaggi toccano il fondo in un violento susseguirsi di dolore, solitudine e vacuità, si conclude nell’amaro raccoglimento dei quattro in posizione fetale, a rafforzare ancora l’andamento centripeto perno del film e – in maniera più diretta – il loro desiderio di ritorno a una condizione originaria di innocenza e purezza ormai definitivamente perduta. La musica tace, le inermi vittime di sé guardano in macchina, perse ormai nel vuoto nebuloso del proprio nichilistico annientamento. Un’ultima nota sospesa che non sarà mai suonata.

 

Lapo Gesleri – Associazione Culturale Leitmovie