Rocco e i suoi fratelli, uno dei capolavori di Luchino visconti e –probabilmente- il suo film ancora oggi più urgente e attuale, è una storia di disgregazioni: c’è l’erosione graduale della famiglia lucana emigrata a Milano e dei suoi valori e c’è, più generale, il disgregamento di un intero paese e della sua cultura. Realizzando un melodramma familiare tra i più importanti della storia del cinema, retto da un’encomiabile lucidità anche nei momenti più caricati ed eccessivi, Luchino Visconti, pur nell’assoluta laicità di fondo, guarda, oltre ai canoni della tragedia, alle epopee e alle mitologie religiose: non solo per quello che può essere l’immediato riferimento a Caino e Abele, ma per un senso di inevitabile, chiamiamola così, “escatologia” del progresso e della modernità che pervade tutto il film. I sacrifici richiesti da queste divinità (il progresso e la modernità) sono non solo i rapporti personali tra i cinque fratelli, ma appunto le loro identità e i loro valori; queste facilmente diventano metafora delle condizioni degli emigrati meridionali al nord in primis, e più in generale dei destini del paese. Ognuno dei cinque, con la solo parziale (vedremo) eccezione del più piccolo –Luca-, è in qualche modo vittima di questa modernità galoppante: c’è Vincenzo che, fuggendo, diventa l’anonimo Ponzio Pilato dei destini della famiglia, Ciro il conformista e cinico ingranaggio della società industriale, Simone preda degli aspetti più luccicanti e pericolosi del benessere. E c’è Rocco, il più consapevole dell’ineluttabilità del destino scelto dalla famiglia emigrando, e vittima proprio di questa eccessiva consapevolezza. Il piccolo Luca, rimasto fuori dai giochi fratricidi, è invece vittima in quanto simbolo del futuro di omologazione e di mancanza di culture e identità a cui il paese sembra condannato, come dimostrano il poco convinto e amaramente progressista discorso finale di Ciro e la desolazione del campo lungo con cui si chiude il film.

Visconti, con quest’opera allo stesso tempo estremamente raffinata ed estremamente carnale, conferma, in un certo senso, di essere fondamentalmente un conservatore sociale: la sua visione del mondo pare nemica tanto del progresso economico, visto quasi totalmente nei suoi aspetti più deleteri, tanto quanto delle “magnifiche e progressive” sorti esaltate da diffusi settori di quella che, teoricamente, era la sua parte politica. Rocco e i suoi fratelli si inserisce così in quel filone rigoglioso del nostro cinema di quegli anni che critica di petto gli aspetti peggiori dei cambiamenti sociali e dello sviluppo economico, sfiorando l’anti-modernità, o comunque assumendo una posizione che fa degli aspetti più cupi e deleteri gli archetipi del progresso. Non ci sono solo alcuni prodotti della commedia all’italiana come esempi di questa tendenza, ma rimanendo nel campo degli “autori”, inevitabile citare due film diversissimi sotto molti punti di vista, ma nell’essenza molto simili a Rocco e i suoi fratelli: I Fidanzati e Il Posto di Ermanno Olmi, senza dimenticare Pasolini.

Edoardo Peretti