Fanny Ardant, attrice e da qualche anno anche regista, ha fatto visita a Bologna in occasione di RendezVous, l‘annuale appuntamento con il nuovo cinema francese, e ha presentato il suo secondo lavoro, Cadences Obstinées, che segue Cendres et sang del 2009. Nel suo ultimo film racconta la lenta agonia di giovane coppia, Margo e Furio. L’amore, per l’attrice francese, è una delle emozioni per cui si può rinunciare a tutto, e così anche la sua protagonista lascia il violoncello, la propria carriera e la propria passione, costringendosi a suonare in solitudine di fronte a una finestra murata.“Aspettare l’amore è già amore”. Ispirata dalle parole di Marguerite Duras, Fanny Ardant scrive il film nei momenti di pausa delle tournée teatrali.  La regista sceglie Asia Argento per interpretare la protagonista e realizza una sorta di autoritratto, un suo doppio ideale, definendo lei stessa Margo come “il mio personaggio”. Asia Argento viene truccata pesantemente e vestita con abitini leggeri, recita con gli sguardi profondi e la camminata decisa dell’attrice francese. Sotto queste vesti il carattere di Asia Argento scalpita, le sue movenze spesso si contrappongono all’immagine aggraziata che ci si aspetterebbe di vedere e si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un surrogato, che cerca di imitare qualcosa di oggettivamente irriproducibile. Il carattere personale della storia, e soprattutto di Margo, viene inoltre sottolineato dai richiami alla carriera di Fanny Ardant, come nel ruolo della musica, che rimanda istintivamente al film Benvenuta, ma soprattutto la figura della protagonista, nei suoi tratti più sofferenti e arrendevoli, ricorda Silvia ne L’odore del sangue.

In questo film risalta il gusto estetico dell’attrice, che con la fotografia e la scenografia allude alla decadenza dell’amore. Le luci sono volutamente sempre cupe, pressano i protagonisti estremizzando i loro sentimenti. La produzione a basso costo del film ha imposto location semplici che ben si adattano alla narrazione che si svolge in un hotel da ristrutturare. Crepe, muri scrostati, finestre rotte e teli di plastica spostati dal vento, incorniciano il racconto un ambiente teatrale. I personaggi entrano ed escono dalle quinte verso piccoli palcoscenici, ambienti ridotti a piccole gabbie, segno metaforico della chiusura dei loro sentimenti. La metafora e il simbolismo diventano il tratto fondamentale dell’estetica del film, si sovrappongono alla narrazione e la oscurano, ponendo l’accento sul lato emozionale, continuamente sottolineato da scene ricche di sottotesti e riferimenti visivi.

Il film tende all’astrazione, grazie a una narrazione densa di eventi solo accennati, scene inconcluse e brevi momenti surreali. I dialoghi in più lingue, dal francese all’italiano, con alcune battute in portoghese, rendono difficile seguire tutti i personaggi in un continuo alternarsi di idiomi nella stessa scena e o addirittura nello stesso personaggio. Quest’ansia di inserire una gran varietà di elementi complessi rende lo spettatore inquieto, dovendo seguire più linee nello stesso discorso. In questo modo vengono messe in secondo piano intuizioni estetiche di grande effetto, come alcune istantanee di Asia Argento o dei passaggi che ricordano Michel Gondry, e soprattutto la cornice musicale, finemente studiata, in cui risalta tutto l’amore per la musica della regista. Fanny Ardant risulta più convincente quando inserisce elementi innovativi giocando con le geometrie e con la luce, creando spazi e volumi, anziché quando si adagia sul proprio personaggio.

Chiara Maraji Biasi