Festival itinerante dedicato al cinema francese, Rendez-Vous: nuovo cinema francese ci presenta lo stato dela cultura filmica transalpina contemporanea, ogni anno. Si comincia con il film di Martin Provost, interpretato da due grandi attrici di nome Catherine, Deneuve e Frot.
Già da Violette, l’Ultimo canto di Saffo di un’emarginata schivata sia dall’amore che dalla natura per la sua apparente bruttezza, traspare il desiderio di Provost di esplorare le contraddizioni e insicurezze dell’animo femminile. In Quello che so di lei, suo ultimo lungometraggio, la storia potrebbe sembrare quasi la stessa: ritroviamo, infatti, assorbita in due figure di donna simili, seppur nelle loro disarmonie e contrasti, la volontà di ricreare un piccolo squarcio d’esistente lontano quanto la data della sua nascita: la ricerca e, infine, il ritrovamento di un tempo perduto, il suo. Un tempo che, nella finzione cinematografica, sembra essere tutt’altro che remoto, quanto disastrosamente incombente sulla vita dell’ostetrica Claire (Catherine Frot), riflesso incondizionato dell’appassionata dichiarazione d’amore del regista.
E Catherine Deneuve, belle de jour tanto per Buñuel quanto per Provost, veste i panni dell’istrionica Beatrice che comincia a colorare la vita di Claire con il caos delle sue scure inquietudini e la vitalità del suo intenso e radicale attaccamento alla vita. Tra inibizione ed emancipazione, doveri e piaceri, accordi e disaccordi le due donne troveranno quell’armonia in grado di riconciliare i propri vissuti, nonostante le difficoltà in cui sono inciampate.
La loro assidua frequentazione, dovuta a una notizia che Claire apprenderà dalla donna, farà sì che l’una, frigida e indifferente divenga quanto più docile possibile nei confronti di una leggerezza e spensieratezza che la vita le aveva sempre negato, o che, piuttosto, si era lei stessa negata; l’altra, invece, condannata dalla “colpa” di pretendere di più dal tramonto, colori più spettacolari quando il sole arriva all’orizzonte, continuerà sempre a spingersi oltre, fidandosi dell’unica e sola aspirazione all’immortalità che l’aveva sempre contraddistinta.
Naturalezza e profondità definiscono la maniera del regista, conoscitore e pensatore devoto alle passioni muliebri. I suoi ritratti di donna sono definiti da una sottigliezza e da un lirismo che rimandano al modo con cui Jean-Luc Godard dipingeva le sue donne, quelle donne dagli occhi grigio Velazquez; e, in tal senso, Provost assimila e reinventa l’intima poetica della Nouvelle Vague francese. Non c’è pretenziosità negli intenti del regista, né ambizione che non sia quella di cogliere gli aspetti di una libertà interiore che va oltre la monotonia e freddezza esistenziale: in tale groviglio, ad esempio, risulta attanagliata l’esistenza di Claire che saprà trovare, in un secondo momento, l’audacia e la forza per fuggirne.
Elvira Del Guercio