“Il maggior fenomeno di rinnovamento del cinema statunitense dai tempi dell’avvento del sonoro” (Franco La Polla). A cavallo fra i Sessanta e Settanta una nuova generazione di cineasti, attori e produttori cambiò la faccia di Hollywood, e la Cineteca di Bologna, in collaborazione con il corso di Iconografia del Cinema (Dams) propone una scelta di pellicole tra le più straordinarie. Cinefilia Ritrovata ne approfitterà per proporre percorsi critici inconsueti, a cominciare dall’approfondimento di Lapo Gresleri (Associazione Leit Movie) dedicato alla prima proiezione, Easy Rider, a seguire.
Senza soffermarsi sul ruolo di Easy Rider quale “film-manifesto” di un movimento culturale, né sulle qualità tecniche che hanno reso l’esordio alla regia di Dennis Hopper una delle opere più significative e influenti del cinema americano contemporaneo, si vuole qui porre l’accento sulla colonna sonora e la funzione che essa assume in rapporto alle immagini.
Pur se leggenda vuole che Hopper non avesse pianificato un vero commento musicale, ma si fosse limitato a raccogliere alcuni dei suoi pezzi preferiti in quel periodo, è difficile credere che la scelta di un così accurato accompagnamento sia spontanea, guidata solo dall’istinto e dal gusto dell’autore. Pare invece piuttosto frutto di un più preciso processo di ricerca che tiene conto di diversi fattori in causa. Innanzitutto la necessità di trovare una colonna sonora ideale per la storia raccontata, una musica che fosse specchio della generazione hippy, dei suoi ideali e princìpi: Steppenwolf, Smith, The Byrds, Jimi Hendrix o Roger McGuinn sono catalizzatori dei gusti di quel pubblico. Rock psichedelico, Folk Revival e Rock Blues sono i generi di riferimento dell’America contestataria degli ultimi anni Sessanta e la Produzione non ha certo sottovalutato la questione: la volontà di mantenere la scaletta originale è senza dubbio sentore di un interesse anche economico, mirante a creare un prodotto il più proficuo possibile.
Ma la colonna sonora assume qui ancora un’altra funzione. In tutta la pellicola non c’è brano che abbia un ruolo puramente enfatico-emozionale; i pezzi cioè non sono scelti solo a sottofondo delle scene, ma ne diventano vero e proprio commento. Sono le parole, i testi, a dare una valore aggiunto alle azioni o a evidenziare il carattere dei personaggi. Così, se i due protagonisti, incassato il denaro di una grossa vendita di droga, partono per spenderlo in donne e alcool dall’altra parte del Paese sulle note di The Pusher e Born to Be Wild – espressioni di una libertà totale in rottura con gli schemi precostituiti – Ballad of Easy Rider sancisce il fallimento del sogno americano, le aspettative tradite dei due ragazzi e l’amara conclusione del loro viaggio.
La musica diventa allora un nuovo substrato significante cinematografico. Autonoma, ma al contempo connessa alla diegesi, si fa veicolo ulteriore di informazioni altrimenti inespresse, da cogliere e analizzare per comprendere a pieno il testo-film. Un’immagine sonora ora finalmente completa.
Lapo Gresleri