Dopo The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese ritorna al documentario, in proiezione al Lumière di Bologna: affiancato dal collaboratore David Tedeschi, celebra con il suo The New York Review of Books: A 50 Year Argument il cinquantesimo anniversario dell’omonima rivista. Nata nel 1963, in seguito a uno sciopero generale delle testate giornalistiche newyorkesi – incluso il New York Times – la rivista fu una salvezza per gli scrittori del momento: i giornali non uscirono per un corto ma significativo periodo e i libri in uscita furono pubblicizzati nella rivista creata ex novo da Robert Silvers e Barbara Epstein. I due fondatori, insieme agli amici A. Whitney Ellswort, editore, e Elizabeth Hardwick, scrittrice, fondarono quella che diventerà la più importante rivista culturale degli Stati Uniti, contenendo non solo recensioni di libri (dai grandi classici alle ultime uscite) ma anche articoli sull’arte, sulla musica e sul cinema. Il film di Scorsese ripercorre i 50 anni di vita della rivista soffermandosi su avvenimenti cardine nella storia americana, descritti in vario modo dagli articoli di allora: la Guerra del Vietnam, la Guerra in Iran, fino ad arrivare al movimento “Occupy Wall Street”.

Scorsese, con il chiaro obiettivo di onorare gli autori storici – e non – del celebre editoriale, intervista molti componenti della redazione del New York Review of Books, insieme a scrittori e giornalisti celebri che collaborarono con la rivista. Stralci di articoli vengono letti da una voce fuori campo o dagli autori stessi alla Town Hall di New York, proprio in occasione del cinquantesimo anniversario della rivista. Antiche dispute letterarie e ideologiche sono riportate dal regista sul grande schermo: per esempio i contrasti fra Gore Vidal e Norman Mailer a proposito dell’emancipazione femminile. Soprattutto tramite le memorie del fondatore Bob, alias Robert Silvers, il film ripercorre la storia della fondazione della rivista insieme alla storia dei suoi fondatori che spesso, schierandosi a favore di questioni delicate come l’emancipazione della donna e dei neri d’America, accettarono articoli anche da famosi dissidenti politici come Aleksandr Solženicyn, esiliato dall’Unione Sovietica per la sua denuncia al regime stalinista in Arcipelago Gulag.

Fra gli autori intervistati, Joan Didion racconta e legge una parte di un suo articolo che fece molto scalpore. La novità del suo articolo stava nel non sostenere in tutto e per tutto le ipotesi della polizia newyorkese nel caso di una donna violentata e picchiata al Central Park: si accusarono subito un gruppo di minorenni neri, e la Didion lasciò spazio, nel suo articolo, a soluzioni diverse. Anni dopo la sua tesi fu confermata: furono trovati i veri colpevoli, e furono rilasciati i ragazzi, di cui la polizia aveva anche reso noto i nomi, tanto erano sicuri della loro colpevolezza. E non dimentichiamo che la redazione per esempio si schierò decisamente contro l’intervento americano in Vietnam.

Questi e altri furono gli episodi che segnarono il percorso della celebre rivista intellettuale statunitense, descritti da Scorsese in un documentario che, oltre a diventare un pezzo fondamentale nell’archivio del “Review”, è da considerare anche come un prezioso documento storico del critico periodo dagli anni sessanta ad oggi.

Laura Cacciamani