Vergine giurata è il film d’esordio di Lura Bispuri, già autrice di numerosi cortometraggi accolti con entusiasmo dalla critica di molti festival. Presentato al cinema Lumière, e ora nelle sale di tutta Italia, il lavoro si ispira al romanzo omonimo di Elvira Dones, scrittrice albanese, che ha collaborato con la regista alla sceneggiatura. La narrazione rimanda ai territori del profondo nord albanese, al confine con il Kosovo. Sono luoghi ancestrali, abbandonati, in cui vivono piccole comunità locali che seguono il Kanun, una raccolta di leggi di antica derivazione. In questi villaggi esistono ancora le vergini giurate, donne che per sottrarsi agli obblighi e alle costrizioni a loro imposte, giurano verginità eterna e, rinunciando alla propria femminilità, assumono un’identità maschile, per poter acquisire gli stessi diritti degli uomini. Perdendo la loro identità, guadagnano in status sociale e rispetto.
Hana (Alba Rohrwacher), dopo aver perso i genitori da piccola, viene accolta da una famiglia del villaggio. Fin da bambina, assieme alla sorella acquisita, scalpita alla ricerca della propria indipendenza, guardando con occhi invidiosi un bambino che, solo perché maschio, può uscire da solo. I suoi tentativi di ribellione sono costantemente ostacolati e solo nel percorso per diventare una vergine giurata vede una possibile via di fuga. Lila, la sorella, è un personaggio altrettanto determinato e complesso, che, anziché sottomettersi alla propria cultura, scappa da un matrimonio combinato alla ricerca della propria libertà. Le strade delle due sorelle sembrano divise, fino a quando Hana, oramai diventata Mark, cerca l’appoggio di Lila nel tentativo di riappropriarsi della propria vita.
La narrazione racconta alternativamente il presente e il passato di Hana. Da un lato sono descritti i silenziosi luoghi della sua infanzia e il percorso che porta le due sorelle a prendere delle strade così diverse e così dolorose. Dall’altro lato, lo spettatore vive insieme alla protagonista le difficoltà di inserirsi in una vita normale, lontano dai luoghi in cui si è sentita protetta e di cui conosce le regole e i codici di comportamento. Una cultura fatta di sguardi e di gesti: con queste parole Elvira Dones più volte descrive questi luoghi dimenticati e sembra che Laura Bispuri abbia fatto proprie queste affermazioni, privando il film di dialoghi inutili e concentrandosi sull’interpretazione dei personaggi. Anche la musica è ridotta al minimo, poche note che accentuano il silenzio assordante e la solitudine della protagonista, che per guadagnarsi il rispetto, ha dovuto rinunciare a tutto.
La regista ha lavorato duramente per la realizzazione di quest’opera, compiendo nel corso di quattro anni svariati viaggi in Albania. Laura Bispuri racconta di aver sempre voluto Alba Rohrwacher nel ruolo di Hana/Mark. La sinergia derivata dal rapporto tra regista e attrice, è stata fondamentale per la riuscita del film, infatti il lavoro si è sviluppato grazie a un continuo dibattito e scambio di opinioni tra loro. Da questo è nata una grande soggettiva di un personaggio complesso come Hana, di cui l’attrice restituisce la delicatezza e il tormento. Viviamo con lei il senso di estraneità di Hana, in quei vestiti troppo larghi, impacciata e a disagio e cogliamo le sue movenze inopportune, costretta da quella fascia che stringe e lascia indelebili segni sulla pelle.
Un viaggio nella vita della protagonista che inizia in maniera incerta, ma che nel corso della narrazione si muove sicuro nella complessità della vicenda. Un film di cui si percepisce la sensibilità e che, senza dare alcun giudizio, riesce ad esprimere le varie sfumature dei personaggi. Delicatamente si affaccia sulla vita di Hana e si addentra alla ricerca della sua essenza, restituendo tutte le sue emozioni e le sue contraddizioni.
Chiara Maraji Biasi