“Uno dei film più ricchi di poesia della storia del cinema”; con queste parole ieri Peter von Bagh ha decantato la grandezza di My Darling Clementine di John Ford, in occasione della presentazione della nuova versione restaurata. Il restauro, effettuato presso i laboratori della Cineric Inc., e finanziato dalla Fox, è stato curato da Schawn Belston. Il curatore ha partecipato alla presentazione, raccontando di come visionando per la prima volta la versione restaurata, nonostante l’amore incondizionato per l’opera e nonostante le innumerevoli visioni, gli sia sembrato di assistere ad un film mai visto prima.
Questa sensazione di novità, effettivamente, non appare una dichiarazione gratuita: se sulla grande forza narrativa ed epica, sulla raffigurazione dell’eroe e sulla rappresentazione dello sviluppo della storia americana durante l’età della frontiera (il passaggio dall’età dell’anarchia a quella della legge, tematica che Ford affronterà più esplicitamente, per esempio, ne L’uomo che uccise Liberty Valance, ma anche in Sentieri Selvaggi) si è già detto e scritto molto, questa nuova versione permette infatti di cogliere meglio una “piccola” ma non secondaria questione stilistica: l’utilizzo, quasi espressionista, delle luci, in particolare dei chiaroscuri, e dei giochi tra bianco e ombra, elemento che permette di avvicinare certi momenti di My Darling Clementine al coevo noir, oltre che al già citato espressionismo. Così, oltre – banalmente – a rendere ancora più immensi i paesaggi e il cielo della Monument Valley, il gioco di luci sottolinea le condizioni dei personaggi, isolandoli con i loro lutti, i loro rimpianti e rimorsi, il loro passato e la loro rabbia. Significativo da questo punto di vista è il momento in cui Doc Holliday è chiuso nella sua stanza, dopo il ritorno di Clementine: il campo è completamente dominato dalle tenebre, che lasciano visibile quasi esclusivamente il volto del personaggio riflesso sullo specchio, volto sempre più disegnato dalla rabbia e dal rimorso, in modo anche da rendere più significativa e pregnante la sua successiva reazione. Si presentano così personaggi ancor più sofferti e tormentati, e il tono del film, se possibile, risulta ancora più deliziosamente poetico e malinconico, mantenendo intatta la sua epicità. Insomma, questo restauro ha rafforzato e confermato, dando nuovi spunti, lo status di capolavoro e di pietra miliare del film di Ford.

Edoardo Peretti