Ospitiamo gli articoli dei giovani critici di  Parole e voci dal festival, che analizzano il cinema del passato dal proprio punto di vista

Fra tutte le produzioni di Chris Marker, Olympia 52 è un film pochissimo visto. Anzi, lui stesso preferì non definirlo film, bensì il suo primo montaggio. Non sono una critica cinematografica, anzi posso affermare con certezza che il mio interesse in questo campo è cominciato da ben poco tempo e di conseguenza le mie conoscenze sono pressoché nulle, eppure non ho avuto alcuna difficoltà a capire quale genio della pellicola sia nato con questo montage.

La fine degli anni ’40 e inizio ‘50 rappresenta il periodo di esordio del grande documentarista francese. Sostenuto e finanziato dall’istituto sportivo francese, decide di partire per Helsinki in occasione della XV edizione dei giochi olimpici per realizzare il suo primo lavoro. L’importanza di Olympia 52 la si capì solo negli ultimi anni di vita di Marker e sebbene divenne in poco tempo oggetto di attenzione di numerosi critici e cinefili, egli si rifiutò di farlo restaurare. Quello che vediamo ora è quindi il negativo originale del ’54 e, nonostante i fotogrammi presentino di tanto in tanto qualche piccola macchia, è bello ritrovarli tali e quali erano stati impressionati dalla sua cinepresa. All’evidente valore storiografico del film, si aggiungono una regia ed un montaggio estremamente brillanti.

Sui tanti tronchi adagiati nel fiume Vanda si aprono gli occhi del reporter, per poi volare nello stadio olimpico ancora vuoto. Manca poco, tutto è pronto e tra gli ultimi preparativi si scorgono le prime valige, sempre in aumento. Infine ecco che ha inizio la “XV edizione dei Giochi Olimpici”, la prima dal 1940, la prima dopo 6 disastrosi anni di guerra. Sotto un’imprevista pioggia sfilano tutti i paesi partecipanti, compresi i nuovi arrivati URSS e Israele, tanti atleti sono pronti a mettersi in gioco “pour l’honneur de leur pays et pour la gloire du sport” (il giuramento “inventato dai greci e reinventato da Pierre de Coubertin” ). Quanto entusiasmo, quante speranze in quei primi momenti.

La telecamera di Marker si sposta fra campi atletici e villaggi olimpici, scrutando attentamente, descrivendo i grandiosi protagonisti di quelle due settimane, catturando qua e la momenti di tranquillità e spensieratezza: allenamenti, conversazioni amichevoli fra atleti di stati talvolta conflittuali. Poi però ritorna euforica a riprendere quegli istanti che tutti hanno visto: gare, risultati e antiche sfide fra atleti, che rifioriscono all’occasione. Immortala le grandi vittorie –come non citare uno dei più importanti protagonisti di quelle olimpiadi, Zapotek- e le amare sconfitte, ancora più amare perché davvero poco lontane dal podio. L’inizio di una carriera sportiva che avrebbe visto numerosi successi. La fine, malinconica, di un’altra, che forse avrebbe dovuto accontentarsi di quelli raggiunti sino a quel momento, lasciando una parte di cuore sulle piste dei 100m finlandesi.

In queste occasioni non bastano poche righe per elencare così tante emozioni, ed anche Chris Marker dovette lottare perché l’ora e trenta minuti concessagli dall’istituto sportivo era a suo avviso una restrizione troppo limitante. Lui però oltre a riprendere con cura le varie competizioni, ci concede sguardi che da queste trascendono quasi del tutto. Un tramonto sullo stadio: il sole lentamente cala dietro la platea – e la scena è così intensa che ci si dimentica del bianco e nero -, i corridori con i loro ultimi sforzi e i tifosi più accaniti che con perseveranza e affetto rimangono a supportare i propri miti.

Dicono che la creatività di un regista stia nell’inventare le scene. Se è così, Chris Marker rappresenta l’eccezione.