Ospitiamo gli articoli dei giovani critici di  Parole e voci dal festival, che analizzano il cinema del passato dal proprio punto di vista

Venerdì sera Hiroshima mon amour ha dominato Piazza Maggiore nella sua immensità e nell’intensità delle tenebre. A pochi istanti dall’inizio della proiezione il silenzio è caduto solenne, ed anche le stelle sono diventate attente spettatrici. Questo capolavoro in bianco e nero risalente al 1959 non è solamente un documentario di guerra, né una fugace ed intensa storia d’amore. Hiroshima mon amour è tutto e niente. È poesia, storia e filosofia, l’essenza della vita.

La straordinaria opera cinematografica di Alain Resnais, restaurata magnificamente e nella sua integrità, è unica nel suo genere, in quanto non solo coinvolge lo spettatore, bensì lo rapisce, gli ruba l’identità e lo fonde insieme ai protagonisti nell’immensità della sua storia. Hiroshima mon amour è un continuo movimento tra spazi temporali, tra personale e sociale. È la figura del passato che impetuosamente torna sul presente.

L’intensa scena iniziale, dove l’abbraccio sconfinato dei protagonisti si alterna alle immagini truci della terra giapponese dopo la bomba atomica sganciata ad Hiroshima (6 Agosto 1945), è una testimonianza perfetta nel suo orrore e nella sua crudezza. Le frasi semplici e ripetute dei protagonisti danno l’idea di una poesia imparata a memoria e recitata, un ostinato ricordo che non deve scomparire.

L’oblio. È questo, infatti, il terrore dei protagonisti e degli spettatori: quello di dimenticare. Dimenticare amori, dimenticare orrori, dimenticare emozioni intensamente vissute e consumate nella fugacità di un attimo. Così niente riesce a giungere al suo stato di massima pienezza, poiché prima ancora di finire viene già divorato e dimenticato dall’angosciosa volontà di ricordare. Tuttavia di tutto ciò che riguarda la guerra- trasmette il regista- non ci si dimentica. Arrivi persino ad identificarti in essa, a scomparire davanti a cotanta disumanità e a diventare il posto o la circostanza in cui eri durante il suo compimento. Neanche un film così, dopotutto, si dimentica. Ti entra dentro. All’inizio ti fa mancare la terra sotto i piedi, per poi pian piano metabolizzarsi e fare parte di te, all’infinito.

 

Francesca Alberoni