Uno dei capolavori del cinema italiano di Luchino Visconti, un film che suscitò molte polemiche e controversie, è stato proiettato ieri sera in Piazza Maggiore. Ambientato nell’Italia degli anni Sessanta, in un periodo di forti conflitti ideologici e di reazioni violente in piena crisi dei governi di centrodestra,  diventò un successo internazionale dopo lunghe battaglie con la censura che peraltro perdurarono con un divieto per i minori di 18 anni, fino al 1969, quando la pellicola subì una serie di tagli. In questo contesto,  il regista ci porta di fronte al fenomeno sociale di immigrazione interna italiana durante il boom economico, connesso a un potente dramma psicologico.

Visconti descrive benissimo, attraverso gli occhi degli emarginati, la Milano di quei tempi, la città in cui arriva la famiglia lucana per sperare in un futuro migliore: una metropoli fredda, dura ma disponibile e pronta ad offrirsi a chi arrivava per lavorare. La scelta registica della suddivisione del film in cinque capitoli, tanti quanti il numero dei fratelli Parondi, ci offre la possibilità di delineare meglio tutti gli aspetti psicologici e caratteriali di ogni personaggio.

Rocco è il più timido, il più riservato, il più morale. È lui che ascolta e vede meglio di tutti.  È anche il più altruista, ma di un altruismo malato ed autodistruttivo; la figura che diventa vittima della sua onestà e desiderio di tenere la sua famiglia unita per non deludere la madre. Perdona il suo fratello, rinuncia alla donna che ama, accettando sempre per gli errori del fratello, di intraprendere l’odiata carriera di pugile. Ma tutto è inutile: Simone, nonostante i sacrifici di Rocco, prende una brutta strada a causa della sua fragilità e della sua ribellione cieca, unita all’irrimediabile incapacità di concretizzare le proprie ambizioni e finisce per ammazzare la sua ex fidanzata,  una povera prostituta, dopo che l’aveva lasciato e intrapreso una relazione con Rocco.

Vincenzo invece è il fratello maggiore, immigrato per primo a Milano che rinnega la sua origine diventando un piccolo borghese. Potrebbe accadere di tutto attorno a lui, ma rimane sempre nella sua posizione perché  ha una famiglia e deve sacrificare tutto per essa.  Ciro è l’unico che porta i soldi in casa, ha un lavoro fisso, fa l’operaio. È il più lucido, forse spesso esprime poca personalità ma è la persona più equilibrata della famiglia.  Luca, il piccolo, è la speranza di un cambiamento e un possibile ritorno nella terra amata.

Decisamente il film rappresenta un affresco di immagini, sfumature dell’animo umano, sensi di angoscia e inquietudine e un forte contrasto drammatico fra Rocco e Simone. La tragedia dello sradicamento della famiglia Parondi in questa società del nord per loro disumana, procede con le scene molto violente dell’omicidio di Nadia, che si lascia uccidere, accogliendo Simone e allargandosi le braccia, senza difendersi.

Un film indimenticabile anche dal punto di vista delle scelte linguistiche: il campo lungo finale di Luca, le panoramiche, i desolanti scenari urbani insieme allo stile di recitazione degli attori attraverso dialoghi di potente significato, aumentano il dramma e il senso di spaesamento in cui si trova la famiglia in questa lotta per l’esistenza.

 

Laura Pascu