In fondo si tratta di affinità elettive. Come per Georges Delerue e Truffaut, Antoine Duhamel e Jean-Luc Godard nell’eclettismo musicale europeo, il sodalizio artistico di Ennio Morricone e Sergio Leone rivela due universi creativi che si affiancano, come i cavalli al galoppo negli spaghetti-western del cineasta, scalpitanti oltre la frontiera. Spiccano quasi il volo, tra i virtuosismi registici dell’uno e le rivoluzioni musicali dell’altro, nella riproduzione gloriosa di un epos altisonante e nostalgico.
Gli Operatic-western di Sergio Leone, melodrammi con la pistola dai tempi rarefatti e dal calligrafismo ricercato, rappresentano l’epico stream of consciousness in cui acquistano vita propria le monumentali orchestrazioni sinfoniche di Ennio Morricone e le sue “ribalderie” corsare – scacciapensieri siculi, armoniche a bocca, chitarre elettriche, campane e aghirofoni – riproduzioni nostalgiche di un tempo sospeso e di percezioni lontane. All’Ovest qualcosa di nuovo c’è e Leone, fin dal seminale Per un pugno di dollari, lo ha urlato con i lamenti di Edda Dell’Orso sulle partiture morriconiane, immersioni emozionali che narrativizzano campi lunghi, primi piani e panoramiche avvolgenti; non a caso per Leone, il maestro è, più che personale musicista, il suo degno sceneggiatore, edificatore di cattedrali sonore nel deserto brullo della nuova frontiera occidentale sporcata da una sempre più stringente “cognizione del dolore”.
La dimensione tragica, insieme colta e popolare del cinema di Sergio Leone è imbevuta, come una fatale danse macabre, da un senso opprimente di morte e predestinazione e diventa attingibile, soprattutto in C’era una volta il West, grazie al commento sonoro usato variamente, tanto come didascalia dell’azione, quanto come tempo proustiano della memoria. La musica da guardare di Ennio Morricone dispiegata in un composito mélange – si va dal più classico brano, indicatore emotivo valido per ogni sequenze ad effetto, alla popular music reinterpretata in C’era una volta in America – sottolinea la dimensione spettacolare della macchina-cinema pur essendo capace di esistere di una mitologia non riflessa. È il caso in cui ci si accorge, “ascoltando” i film di Sergio Leone, che esiste una seconda regia, quella musicale, a imporre il ritmo della pellicola, a scandire temporalità evanescenti e luoghi della coscienza, a dilatare il climax della narrazione o semplicemente a catturare i fermo-immagine di un’epoca.
In tutti i film che la Cineteca di Bologna ripropone per il ciclo Morricone/Leone in programma dal 1 al 4 aprile, da Per un pugno di dollari a C’era una volta in America, si avverte quel senso di elevazione, qui nettamente spirituale, di cui parlava Audrey Hepburn a proposito delle composizioni di Henry Mancini per Colazione da Tiffany. L’impianto sonoro, i leitmotiv, i refrain, le riproduzioni onomatopeiche, i rumori e i tintinnii delle campane, i movimenti in levare dell’orchestra, costruiscono lo spazio scenico dilatandolo in un tempo senza tempo, inventano un repertorio che prolunga e moltiplica la meraviglia sonora dentro e fuori l’immagine cinematografica.
Vincenzo Palermo – Associazione culturale Leitmovie