La famosa canzone di Paolo Conte non potrebbe essere più azzeccata per descrivere Compro oro di Marino Bronzino e Toni Lama, piccolo quanto significativo documentario in programma giovedì 10 novembre al cinema Lumière in occasione del Bologna Jazz Festival 2016 (27 ottobre-20 novembre).

Il tono nostalgico e romantico usato dal cantautore astigiano per descrivere il suo amore per il jazz e il mondo che lo contorna, è ripreso e rielaborato dai registi per raccontare la medesima scena musicale torinese dal punto di vista storico e culturale, attraverso rari filmati d’epoca e interviste ai principali protagonisti di quell’epoca.

Si percorre così un viaggio a ritroso verso le radici del jazz italiano, di cui un fruttuoso germoglio è stato il torinese Swing Club, mitico luogo di esibizioni tra gli anni Sessanta e Settanta per gli allora emergenti Franco Cerri, Franco Mondini, Aldo Romano, Enrico Rava, Sergio Bevione o Dino Piana come per artisti internazionali quali Chet Baker, Ornette Coleman e Dexter Gordon.

A differenza della più o meno contemporanea scena bolognese – in cui dominava una notevole rivalità tra le due principali big band locali, come raccontato con malinconico rimpianto in Jazz Band (Pupi Avati, 1978) – nel capoluogo piemontese invece lo spirito di collaborazione tra musicisti nasceva probabilmente dal riconosciuto luogo di incontro e condivisione che era il locale. Accomunati dalla medesima passione e spirito positivo e possibilista del boom economico, che spingeva a fuggire da una realtà per molti versi ancora troppo vicina a quella misera e affamata del secondo dopoguerra, i giovani jazz-men vivevano le proprie aspirazioni e ambizioni come un’identità parallela, lontana dai rispettivi impieghi quotidiani, ma vicina al grande sogno d’oltreoceano. Un sogno “fortissimo”, come lo definiva Conte, difficile da spiegare e raccontare perché in definitiva troppo intimo e personale per essere interpretato.

Alla domanda centrale “cos’è il jazz?” ognuno degli intervistati dà difatti risposte diverse, integranti, complementari una all’altra, ma mai definitive, come la loro musica, che si evolve costantemente in una rivisitazione e aggiornamento degli standard attraverso una tecnica sempre più evoluta, che non annulli mai però quello spirito di spontaneità alla base dell’arte allontanandola dal mero manierismo. Un equilibrio essenziale dunque tra passato e presente, ricerca costante e forse infinita di una propria El Dorado.

Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie