Grande sperimentatore di linguaggi audiovisivi in forme ibride e difficilmente classificabili, Carlo Di Carlo resta ancora oggi una figura di valore – pur se quasi totalmente sconosciuta ai più – del panorama cinematografico italiano del secondo dopoguerra.
Sin dai suoi primi lavori (La “menzogna” di Marzabotto, 1961; Terre morte, 1962; Atto senza parole 2, 1966), il critico e regista di origini bolognesi dimostra una certa propensione all’innovazione delle ormai consolidate strutture tecniche e narrative del cinema, in anticipo rispetto alla realtà nazionale, ma in sintonia con il fermento culturale europeo degli stessi anni. Nei suoi film – e in particolare in quelli prodotti in Germania per la rete ZDF negli anni Settanta – letteratura, fiction, documentario e cinéma vérité si influenzano reciprocamente in una commistione di stilemi che superano gli schemi individuali in strutture nuove e ancora oggi di sorprendente efficacia. Un sistema infallibile (1975) è forse la summa di tale ricerca, quintessenza del suo cinema nonché uno degli esempi più colti e raffinati di elaborazione sonora per il cinema.
Presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 1976, dove riscosse notevole approvazione da parte della critica, il mediometraggio è una provocazione estrema rivolata allo spettatore, giocata su una sua immersione totale nel dramma della solitudine del giovane protagonista, travolto da una delusione sentimentale e ossessionato dal calcolo di un metodo infallibile per vincere alla roulette. Privo di dialoghi – eccezion fatta per il mantra “rien ne va plus” del croupier al tavolo da gioco – la pellicola sprigiona tutto il suo potenziale attraverso gli elementi scenici, in particolare l’uso costante di rumori e suoni, accentuati, ingigantiti quasi a sottolineare così la condizione del personaggio.
L’algebrica meticolosità con cui egli si rapporta al mondo esterno – rappresentato dalla giovane modella con cui vive – è il medesimo sistema matematico che scandisce la sua esistenza: tutto ruota attorno alla sua mania, che si riflette anche in ciò che ha attorno. Il frenetico movimento delle dita sui tasti del calcolatore, i sinistri e meccanici rumori del computer che elabora i dati, la chiusura dell’otturatore fotografico che – non a caso – ferma i brevi istanti preziosi della donna amata o la pallina che rimbalza nella roulette, tutto è sintomo dell’estraniazione totale che caratterizza il protagonista, la sua totale assenza di emozioni o meglio l’incapacità di esternarle. Il suo mutismo si fa allora manifestazione di un disagio, un rifiuto della dimensione comunitaria in favore di un alienante individualismo. Non sorprende dunque se gli unici inserti vocali nella colonna sonora sono tre brani al femminile che accompagnano le scene che vedono l’uomo assieme alla ragazza, Killing Me Softly di Roberta Flack, Dear Friend di Paul & Linda McCartney e Me & Bobby McGee di Janis Joplin, canzoni simboliche della presa di coscienza della giovane, innamorata del suo uomo, ma incapace ormai di viverci al fianco.
Il Flavio Bucci di Un sistema infallibile si fa così espressione di quell’incomunicabilità antonioniana di cui il regista bolognese è erede, rivoluzionario innovatore e radicalizzante. Ma se i personaggi del cineasta ferrarese vivevano la propria chiusura individuale nel tentativo più o meno disperato di aprirsi nuovamente all’esterno, quelli di Di Carlo non vanno mai oltre il proprio limite, monadi sociali destinati ad abbandonarsi al vuoto sordo del proprio io.
Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie