“L’importante è non avere catene in testa”. Con queste parole Terence Blanchard si è congedato dal lungo incontro che l’ha visto protagonista il 16 novembre al Cinema Lumière, in una sala gremita di studenti e appassionati di musica per uno degli eventi più attesi della X edizione del Bologna Jazz Festival. Nelle due ore di dialogo con il pubblico, il musicista e compositore statunitense si è generosamente lasciato andare a racconti, aneddoti, tecnicismi e consigli inerenti la sua arte e il suo metodo professionale.
Il jazzista autore anche di molte colonne sonore tra cui quelle de La baia di Eva (Kesi Lemmons, 1997) e Original Sin (Michael Cristofer, 2001), nonché di molti film di Spike Lee da Jungle Fever (1991) all’ormai prossimo Chi-Raq senza dimenticare Malcolm X (1992), Inside Man (2006) e When the Leeves Broke (2006), ha iniziato a raccontarsi dagli esordi. Appassionato di musica da quando a cinque anni strimpellava su un piano i jingle sentiti in televisione, a quindici Blanchard inizia a studiare composizione, ma ammette “non ho mai prestato molta attenzione alla musica nei film, finché non ho visto Star Wars e Chinatown, dove le trombe avevano qualcosa di speciale”. È l’incontro con Lee per Mo’ Better Blues (1990) – ai tempi del primo disco da solista – a dare il via alla sua carriera di musicista per il grande schermo. Attraverso la visione di alcune sequenze della pellicola, il trombettista ha ripercorso la sua esperienza sul set come doppiatore delle parti musicate di Danzel Washington, sottolineando la cura quasi maniacale del regista nella resa di quelle scene e lo studio meticoloso da parte dell’attore di tic, movimenti e posture di jazzisti professionisti.
Proprio sul regista di Atlanta si è inevitabilmente concentrato il discorso, non solo per la duratura collaborazione tra i due artisti, ma soprattutto per la non celata stima verso l’amico, di cui Blanchard ha elogiato la concezione della musica come “figura principale di tutti i suoi film”. Ogni volta, Lee invia al collaboratore la sceneggiatura, in modo che sia possibile lavorare assieme sulla costruzione di questo personaggio presente ma non visibile in scena: “Spike rispetta i musicisti, e su quell’aspetto del proprio lavoro non essendo lui un musicista, delega”. È su questa fiducia reciproca che si è costruito un sodalizio pluridecennale che ha portato il cineasta a ottenere di recente l’Oscar alla carriera e al compositore svariati premi tra cui quelli per La 25a ora (2003), la cui nota scena nell’appartamento su Ground Zero è stata oggetto di un’accurata analisi della struttura e delle emozioni a essa correlate. “È la scena a suggerirti il linguaggio da usare – sostiene il jazzista – e non si deve mai essere tanto presuntuosi da voler piegare il suo significato all’idea che ce ne si è fatti. Quando componi chiediti: vuoi farlo per essere il migliore o per esprimere qualcosa che hai dentro? Sono due cose molto diverse”. E nel suggerimento “ per essere creativi, non bisogna aver paura”, Blanchard racchiude il più profondo degli insegnamenti lasciati al pubblico, un invito a leggersi dentro con modestia per superare i propri limiti, traendone il meglio per sé e per gli altri.
Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leit Movie