The Rolling Stones Olé, Olé, Olé!: A Trip Across Latin America si apre con una citazione di Godard: come in Sympathy for the Devil (1968) la macchina da presa si muove sinuosa in uno studio di registrazione dove i noti bad boys provano l’omonimo pezzo, mostrando però un quartetto attempato pur se ancora estremamente vitale. È in questa breve sequenza che si cela l’intento di Paul Dugdale, raccontare il perdurare di un mito attraverso il mito stesso, il suo evolversi negli anni pur restando fedele a sé.
Concepito come un lungo backstage, il film documenta il tour del 2016 in Sud America coronato dall’epocale concerto gratuito tenutosi a L’Avana il 25 marzo (filmato sempre da Dugdale in Havana Moon), il primo di una rock band americana in terra cubana, evento musicale e politico espressione della distensione dei rapporti tra l’isola un tempo castrista e la nuova America di Obama.
Alternate ad estratti dai concerti nelle capitali Latine, dove si susseguono in scalette elettrizzanti i grandi classici del gruppo – e due gioielli dietro le quinte, il pezzo d’apertura e una versione acustica per chitarra e voce di Honky Tonk Women – il regista raccoglie le testimonianze di un pubblico variegato, accomunato da un’adorazione per i propri idoli ben più sentita che ad esempio in Europa. Difatti, se nel vecchio continente gli anni Sessanta sono stati un periodo di relativo benessere che ha dato vita a una rivoluzione culturale di cui il quartetto londinese è stato un emblema, in Sud America furono anni di violenza e dittature e gli Stones il simbolo di una controcultura ribelle ed emancipatrice, una promessa per gli oppressi per questo ostacolata.
Quelle che si incrociano sotto i diversi palchi del tour sono storie di piccole resistenze quotidiane in nome di quella libertà di cui il rock è da sempre portabandiera e la banda di Mick Jagger l’incarnazione riconosciuta e osannata di generazione in generazione, come dimostrano le folle eterogenee di giovani e anziani accomunati dalla rolinga, la sottocultura che con nomi diversi lega tra loro i fan latini.
Ma Dugdale lascia il dovuto spazio anche ai singoli musicisti, che esprimono qui le proprie riflessioni sul fenomeno e sul loro rapporto con la celebrità, “una versione idealizzata di te” la definisce perplesso e allo stesso tempo compiaciuto Keith Richards, fonte di fortuna e di difficoltà dentro e fuori di sé. Un conflitto che l’artista sublima nella sua opera, in un processo di rielaborazione simile a quello che ognuno compie col proprio io.
Lapo Gresleri – Associazione Culturale Leitmovie