La proiezione serale in Piazza Maggiore regala un breve documentario di Orson Welles che anticipa Il Terzo Uomo. Portrait of Gina – Viva l’Italia film del 1958 per molto tempo considerato perduto è stato ritrovato circa trent’anni dopo la sua realizzazione. Il grande autore americano compie un ritratto di Gina Lollobrigida, intervistando grandi artisti (Vittorio De Sica, Rossano Brazzi, Paola Mori), familiari e conoscenti provenienti dal paese natale dell’attrice per poi arrivare a Gina stessa. Welles intende dare una propria visione della società italiana attraverso l’icona Lollobrigida. Ha vissuto per molti anni nel nostro Paese, ci ha girato film e si è definito un esule americano in terra italica.

A questo proposito sembra emblematica la famosissima battuta pronunciata dal personaggio di Harry Limes (interpretato dallo stesso Welles) ne Il Terzo Uomo:

“In Italia per trent’anni sotto i Borgia, ci furono guerre, terrore, omicidi e carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? Gli orologi a cucù”.

Si dice che sia stato egli stesso a inserire la battuta nel copione, a dimostrazione che la pellicola firmata da Carol Reed porta in sé una forte influenza wellesiana. Sembra quasi superfluo e scontato elogiare la grandezza del film, che fa parte di un olimpo cinematografico dove solamente pochi eletti hanno la statura per entrare. A pare i rumors che vogliono una forte impronta autoriale dello stesso Welles alla regia (come non pensarlo?), siamo di fronte a un’opera che, se contestualizzata storicamente risulta fortemente innovativa a livello tematico e linguistico. Anche se Holly è l’eroe positivo che ci accompagna dall’inizio alla fine, il vero punto cardine è senza ombra di dubbio Harry Limes, personaggio che entra in scena dopo la metà della pellicola. L’istrione Orson Welles è nell’aria fin dai primi fotogrammi, ma si farà attendere per parecchio tempo, uscendo improvvisamente dal buio con un’espressione compiaciuta e ovviamente rubando la scena a chiunque.

L’universo cinematografico sembra riflettere le condizioni dei due attori principali e il rapporto tra Limes/Welles e Martins/Cotten riporta alla mente quello tra Charles Foster Kane e John Leland di Quarto Potere: il primo (Welles) carismatico, risoluto, pronto a tutto per il raggiungimento dello scopo, il secondo (Cotten) più tormentato e onesto, eroe sconfitto che perde perché decide di stare dalla parte dei buoni.

Un film fatto d’inquadrature sbilenche, la macchina da presa sta spesso in basso o in alto distorcendo l’immagine e incutendo un senso d’instabilità e incertezza sottolineato da una fotografia cupa che dipinge lo spazio urbano notturno come un mondo in cui il pericolo sta dietro ogni angolo e dentro ogni vicolo. Allo stesso tempo però è un mondo in cui la tensione crea facili suggestioni e diventa possibile essere terrorizzati dall’enorme ombra di un vecchio uomo che vende palloncini in una notte buia e pericolosa.

Il leitmotiv musicale è il filo rosso che percorre l’intero film e vero e proprio elemento che ha contribuito a fissare la pellicola nell’immaginario cinefilo comune. Lo schermo di Piazza Maggiore, l’atmosfera bolognese e quella folla sterminata di cinefili e non, hanno contribuito a rendere la visione di questa colonna della storia del cinema un’esperienza più unica che rara.

Stefano Careddu