Mentre la spensieratezza creativa e energica di Visioni Italiane 2014 prosegue senza sosta, veniamo colti da malinconia alla notizia della morte di Alain Resnais. Non si tratta in sé di uno shock – era un gentile e straordinario uomo di 91 anni – ma ci spinge comunque alla celebrazione e al ricordo. Molti siti cinefili stanno raccogliendone la carriera e ripercorrendone la storia, praticamente tutti quelli del nostro blogroll a fianco in basso. Noi invece ci accorgiamo della coincidenza editoriale dell’uscita, in queste settimane, di Notte e nebbia di Jean Cayrol (Nonostante Edizioni, postfazione di Boris Pahor, cura di Giovanni Pilastro), nel testo tratto dalle proprie poesie che lo scrittore plasmò per l’omonimo documentario di Resnais e Marker, divenuto epocale.

Riportiamo la quarta di copertina: “Notte e nebbia, dal tedesco Nacht und Nebel. Così erano classificati i prigionieri politici all’interno dei campi di concentramento nazisti. Portavano scritte sulla schiena, come un destino, due grandi “N”. La loro morte, ci ricorda infatti Boris Pahor nella postfazione, ‘sarebbe stata un viaggio notturno nella nebbia, finito in fumo nei camini del forno crematorio’. Come il nano Alberich nel Rheingold di Wagner, una volta indossato il Tarnhelm, sparisce in una nube di fumo al canto di Nacht und Nebel, niemand gleich – da cui l’omonimo decreto emanato da Hitler nel dicembre del 1941 –, allo stesso modo i deportati con il triangolo rosso dovevano sparire senza lasciare traccia, senza essere nominati. Erano ‘i più disgraziati tra i disgraziati’, condannati a un’eliminazione segreta. Jean Cayrol, scrive ancora Pahor, ‘fu uno di questi disgraziati che riuscì a salvarsi’, a ritornare dalla Necropoli. Nel 1946, reduce dall’esperienza concentrazionaria, compose la raccolta di poesie Poèmes de la nuit et du brouillard, che trovò poi il suo prolungamento in forma narrativa nel testo che Cayrol scrisse qualche anno dopo, nel 1955, per il documentario di Alain Resnais Nuit et brouillard, realizzato in occasione del decimo anniversario della liberazione. Un tentativo di rendere, come egli stesso dichiarò in un articolo apparso l’anno successivo su Les Lettres Françaises, ‘la testimonianza vivente, incredibile, delle manifestazioni estreme dell’oppressione e della forza messa al servizio di un sistema che non ha avuto rispetto dei diritti elementari’. Non un semplice ‘reliquiario raffreddato’ o solamente ‘un esempio sul quale meditare’, ma, come suggerisce Cayrol stesso, ‘un “dispositivo d’allerta” contro tutte le notti e tutte le nebbie’. Un appello rivolto a noi tutti che – così recita la voce di Michel Bouquet in conclusione del film – ‘facciamo finta di credere che tutto questo appartenga a una sola epoca e a un solo paese, e non pensiamo a guardarci intorno e non sentiamo il grido senza fine’.

Da leggere.