A Raffaele Andreassi, autore che spesso ha dovuto avere a che fare con problemi censori e tagli produttivi è dedicato uno spazio nella sezione Rarità del cinema italiano del dopoguerraL’Amore povero è un film d’inchiesta sul problema della prostituzione a Roma. Inizialmente fu tagliato un episodio, La Metamorfosi, e fu distribuito con il titolo poco felice Piaceri proibiti che non rifletteva in nessun modo ciò che il film si proponeva di raccontare. Il regista però conservò una copia dell’episodio e alcuni stralci d’intervista, ciò ha permesso il recupero della pellicola secondo l’idea iniziale di Andreassi. Egli beneficiò della collaborazione di Callisto Cosulich (da poco scomparso), scese in strada, intervistò alcune prostitute romane “raccogliendo storie, spunti che andarono a formare “un grosso brogliaccio e non una vera e propria sceneggiatura” elaborato dai due con l’apporto di Ottavio Jemma”.

È un lavoro estremamente interessante ed è una fortuna poterlo ammirare in sala. Costituito da otto episodi alternati a interviste, nei quali si cerca di indagare la condizione delle prostitute e il loro rapporto con il mondo che le circonda, la famiglia e i bambini. L’idea venne da un articolo di cronaca letto su “La Stampa”, che, come racconta lo stesso Cosulich, “narrava la tragedia di una prostituta, la quale era costretta a ‘passeggiare’ nottetempo portando con sé la carrozzella dove teneva la propria neonata. All’arrivo di un cliente, soleva affidarla a una collega, per riprenderla a servizio concluso. Ma una notte, tornando al posto dove le aveva lasciate, non trovò più né la collega né la carrozzella. Di conseguenza diede di matto al punto d’essere ricoverata in un ospedale psichiatrico. In realtà non era capitato nulla di grave. Semplicemente aveva iniziato a piovere e la collega, non sapendo che fare, era tornata a casa propria, portandosi appresso la carrozzella con la neonata dentro. Insomma, a rimetterci fu solo la madre, che finì dimenticata in manicomio, come in seguito potei accertare di persona”.

Questo episodio è ripreso nel film, ma ce ne sono altri di una finezza ed efficacia degna del miglior cineasta che in qualche maniera rimandano a certe scene girate da Federico Fellini, se non altro per l’ambientazione. Andreassi usa sapientemente il proprio mezzo espressivo, gioca, in una spiaggia desolata nella quale il rumore delle onde quasi sovrasta le parole, un uomo racconta alla prostituta che lo accompagna quanto è stanco della moglie e quanto sogna una casa con lei: la macchina da presa si muove tra la sabbia, i movimenti sono scanditi dalle parole di lui che descrive le stanze, invitandoci a lavorare di fantasia, a immaginare, dandoci solamente coordinate spaziali e lasciando al gusto dello spettatore tutto il resto.

Oltre a questi virtuosismi è presente una forte critica alla società del tempo e un indagine sulle perversioni dell’essere umano: un uomo costringe a vestire la sua ospite come la moglie e cerca di rivivere alcuni momenti passati, mentre in un altro luogo, un gruppo di ricchi annoiati e snob si divertono a umiliare una povera donna portandola allo sfinimento e infine al pianto che si tramuta in lamento interminabile. Il finale è un bellissimo, intenso e impietoso primo piano che dissolve molto lentamente, esasperando il lamento della donna che diviene un rumore assordante e rimane dentro per diversi minuti dopo l’uscita dalla sala.

Stefano Careddu