Il progetto Gioventù bruciata su Cinefilia Ritrovata prosegue. Questa volta proponiamo qualcosa di completamente diverso. Non un catalogo di immagini né rari materiali, bensì una silloge di recensioni, scritte appositamente per il sito dagli allievi di “Critica Ritrovata”, il percorso di storia e scrittura critica proposto dalla Cineteca di Bologna. Abbiamo chiesto ai nostri iscritti di tornare a vedere il film di Ray nella sua versione restaurata e di recensire esplicitamente questa versione – pratica ben poco frequentata dalla critica ufficiale, che dà per acquisita l’opera nella sua prospettiva storica. Visto oggi, com’è Gioventù bruciata? A seguire i pezzi critici.

Dal 6 novembre per un intero mese torna sul grande schermo il film di Nicholas Ray che ha sancito un divo. James Dean al suo secondo film diviene Mito.
Anni Cinquanta, il consumismo è all’apice della società e ne segna i connotati. Commissariato di polizia, tre ragazzi di buona famiglia, Jim Stark, Judy, Plato, tre storie d’incomprensioni che s’intrecciano, una disperata ricerca di stabilità affettiva e uno sviluppo violento. Tutto il film è un chicken run d’una generazione che non sa dove andare né in che modo farlo.
Interessante l’uso del Cinemascope che esalta la figura dei personaggi rendendone la fisicità più reale che mai grazie all’utilizzo di campi lunghi, panoramiche orizzontali e verticali. Il brillante utilizzo della cinepresa con il passaggio da piani sequenza, a piani americani, a primi piani, ci regala sequenze quanto mai vivide in una cronaca puntuale e realistica degli avvenimenti. La scena del litigio col padre ora strappata alle grinfie della censura e i baci tra Dean e la Wood chissà se sarebbero stati apprezzati anche in quegli anni d’esaltazione di valori familiari e perbenismo. Ora ci sembrano addirittura superati. Peccato non abbiano potuto ai tempi essere “avanguardistici” anche per lo sguardo “appannato” di quegli spettatori.

Manuela Bungaro

 

Jim, Judy e Plato sono tre giovani liceali che soffrono condizioni familiari problematiche tali da spingerli a essere tormentati, fragili e disorientati nel contesto storico e sociale dell’America post-bellica.
La visione della pellicola in sala oggi, a 50 anni dalla sua uscita, è un’esperienza importante per entrare appieno nella dimensione del film e cercare di osservarne tematiche e tecniche che si possono considerare attuali anche a tanti anni di distanza. Nell’immaginario comune è diventato un cult soprattutto per la straordinaria interpretazione di James Dean, ma oggi possiamo anche notare una sorta di attualità di contenuti: il film mette in scena situazioni familiari in cui i genitori sono disinteressati e inetti nei confronti dei problemi dei figli e dove questi ultimi soffrono, si isolano, sfiduciati da ciò che gli sta attorno, sono spacconi, ribelli, ma crescono in fretta e sono capaci di insegnare qualcosa a chi dovrebbe invece educare loro. Le inquadrature storte, le soggettive inusuali intrecciate a un genere classico come il melodramma al cui centro sta un attore che è sì un divo, ma viene dall’Actor’s Studio e da un metodo psicologico e introspettivo, permettono al film di non sentire troppo il peso degli anni.
Il colore, il formato Cinemascope e alcune inquadrature ci riportano invece immediatamente al cinema degli anni Cinquanta. Un ottimo restauro che permette a tutti noi di ammirare una grande opera in sala.

Stefano Careddu

 

Giacca a vento rossa, maglietta bianca, un paio di jeans e sigaretta in bocca: è così che si ricorda principalmente James Dean, nei panni di Jim Stark in Gioventù Bruciata – Rebel Without a Cause. Il film, divenuto cult, mostra uno spaccato generazionale in cui si intrecciano le storie di tre adolescenti Jim, Judy e Plato, personaggi fragili alle prese con un mondo che sembra troppo grande per loro. La regia di Nicholas Ray ha fatto scuola, in quanto le tecniche utilizzate e le scelte stilistiche come il Cinemascope, il colore, la musica, le riprese angolari e oblique, le soggettive e i movimenti di camera sono veicoli per esprimere visivamente le dinamiche tra i personaggi e la loro psicologia.
Gioventù Bruciata torna oggi in prima visione sul grande schermo, in versione restaurata per il progetto “Il Cinema Ritrovato al cinema”. Sebbene per un pubblico del 2014 vari elementi della storia possano sembrare datati, restano ancora attuali le tematiche come il desiderio di affermazione di sé, la necessità di essere compresi e accettati dagli altri e il difficile rapporto tra figli e genitori nella fase adolescenziale.

Valentina Ceccarani

 

La prima impressione che lascia la visione di Gioventù Bruciata ai giorni nostri, è di trovarsi di fronte a dinamiche già ampiamente fagocitate e digerite in decine di film (più o meno apprezzabili) degli ultimi anni, dedicati al precario percorso dell’adolescente alla ricerca di un proprio posto tra le grinfie spietate della società. Sono infatti un deleterio senso di inadeguatezza e le proverbiali incomprensioni genitori-figli, le cause scatenantidelle vicende dei tre protagonisti Jim (Dean), Judy (Natalie Wood) e John “Plato” (Sal Mineo), tragici emblemi della generazione che per prima ha visto dilatarsi definitivamente il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Ray disegna con cinico lirismo e virtuosismi tecnici i loro percorsi, che oggi possono forse risultare anacronistici, ma che all’epoca onorarono il vessillo della modernità per profondità psicologica e carica patetica.
Rebel Without a Cause si erge dunque a capostipite di un filone cinematografico dalle alterne fortune, cristallizzando nella storia l’incontenibile fascino di James Dean; coprotagonista, certo, eppure condicio sine qua non dell’intera pellicola, con i suoi sorrisi ironici e sornioni, con il suo giubbotto rosso, con il suo sguardo capriccioso, penetrante, discolo e, soprattutto, tremendamente giovane.

Francesco Cecchi Aglietti

 

America, anni Cinquanta, notte di Pasqua. In una stazione di polizia si incrociano le vite di tre ragazzi alle prese con difficili situazioni familiari. Nell’arco di 24 ore i tre stringono un legame intenso, quello fortemente voluto da Plato alla ricerca di una famiglia sostitutiva.
Dirigendo Dean nel film che lo rese un’icona, Ray crea quello che divenne un cult per tante generazioni che apparentemente, come nell’America conservatrice e tradizionalista di quegli anni, non avrebbero nessun motivo per ribellarsi.
Reso celebre dalle scelte registiche accattivanti e dall’intensità dei temi trattati, Rebel Without a Cause torna restaurato in sala (le cui poltrone sono occupate da un pubblico variegato) e si ha l’amara certezza che tali temi, oggi così frequenti, non scandalizzerebbero più di tanto.
Eppure c’è un fattore che accomuna generazioni ormai lontane, matrice ed espressione di questa insofferenza: la noia, spesso movente della gioventù figlia del benessere. D’altronde, come emblematicamente ma con essenzialità disarmante dice Buzz, antagonista di Jim, “you’ve got to do something” (“devi pure far qualcosa”).

Alessia Durante

 

Jim (James Dean) è un ragazzo che si ubriaca e cerca rogna, insofferente alla finta felicità famigliare. In fondo cerca solo – disperatamente – di diventare un uomo. Per difendere l’onore e conquistare Judy (Natalie Wood) accetta di partecipare ad una gara di auto che innescherà il motore della tragedia.
Perché, nonostante i quasi sessant’anni, Gioventù bruciata di Nicholas Ray incanta ancora i nostri occhi e ruggisce ai nostri cuori? Perché ci fa domande vere, quelle che non hanno facile risposta: che senso hanno la verità, il tempo, l’amore, l’onore, il dolore. Perché usa molta ironia, come quando Jim chiede al padre, che indossa un vistoso grembiule da donna, come si fa a diventare un uomo. Perché il film è attraversato da una sottile ma costante tensione erotica, sottolineata dall’uso del colore (le pennellate rosse delle labbra e del cappotto di Judy e del giubbotto di Jim), dalla sceneggiatura (il poliziotto che chiede a Judy se per strada cerca l’affetto che le è stato negato; Judy che bacia il padre sulla bocca) e dal fascino ambiguo di Dean. Perché Ray ribalta i punti di vista: l’occhio si sposta dal narratore al narrato (Jim reclina la testa sul divano e l’inquadratura segue, in prospettiva rovesciata, la madre che scende dalle scale). Insomma Gioventù bruciata invecchia bene, perché è fatto di materiale vivo e perché racconta con onestà i nostri palpiti di animali spaventati dalla vita e allo stesso tempo assetati di essa.

Lorenza Govoni (http://potrebbeanchepiovere.wordpress.com)

 

Gioventù bruciata è James Dean. È il divo. È il culto. È una generazione di giovani ribelli, forse senza causa, ma che non accettavano comunque di adeguarsi al mondo preparato per loro dalla generazione precedente. Proprio per questo è ancora così attuale.
Vero è che la recitazione di Dean, per quanto sia rimasto immortale (anche per essere uscito di scena così giovane), potrebbe sembrare a una visione contemporanea oramai superata, ma va collocata in un contesto storico ben preciso, e nel ‘55 i suoi sguardi, i suoi primi piani, le sue espressioni melodrammatiche erano davvero innovative. Così come lo erano le inquadrature di Ray, nonché il montaggio, a tratti frenetico.
Jim Stark è il fidanzato che qualsiasi ragazza, di qualsiasi generazione, vorrebbe: bello e dannato, ma anche sensibile, corretto nei confronti dei rivali, incompreso dalla famiglia.
Il restauro di questo classico, già consacrato nell’Olimpo della cinematografia universale, farà fremere sulla poltrona i puristi della pellicola (così come qualsiasi lungometraggio riportato in auge nell’era del digitale), ma è davvero un piacere poter rivedere sul grande schermo e in Cinemascope scene indimenticabili quali la corsa del coniglio o il tragico epilogo.

Gloria Lorenzini

 

“Rebel Without a Cause è il film che mi ha più completamente soddisfatto e penso che rimarrà valido per molto tempo ancora sia come testimonianza che come spettacolo”, dichiara nel 1963 Nicholas Ray.
Gioventù bruciata deve la sua fama a James Dean che, nei panni del ribelle e problematico Jim Stark, è diventato un’icona mondiale. Il film racconta la tensione continua dei giovani contro un mondo adulto assente, anaffettivo e insicuro, tema caro al regista che si dimostra abile nella rappresentazione delle inquietudini della gioventù americana. Grazie alla forza drammatica di alcune sequenze memorabili, come la scena della “corsa del coniglio”, oppure il violento scontro finale al planetario, il film è rimasto impresso nell’immaginario collettivo.
Ray ha il merito di utilizzare le innovazioni tecniche che si sviluppano negli anni Cinquanta, come il colore e il Cinemascope. Il tocco del regista emerge prepotentemente nell’utilizzo della macchina da presa che, in un continuo dialogo con la narrazione, si muove dinamicamente in posizioni inusuali, inquadrature ardite che enfatizzano le emozioni dei personaggi, come pochi film drammatici hanno saputo fare nel corso della storia.

Chiara Maraji Biasi

 

James Dean entra in scena e si tuffa a terra. Grazie al Cinemascope sembra che sia proprio lì davanti a noi, mentre riverso in strada coccola una scimmietta di peluche. Emblema di quella generazione di wild ones e già icona prima della sua prematura scomparsa, in Gioventù bruciata si incarna e si veste di un giubbotto rosso fiammante, riempie lo schermo di quel magnetismo ormai mitico. Il protagonista, Jim, è un giovane outsider, troppo vulnerabile e deluso sia dagli adulti che dovrebbero guidarlo, sia dai coetanei che lo respingono. Insieme ad altri spiriti affini, Judy (Natalie Wood) e Plato (Sal Mineo) cerca di creare una famiglia “altra” in una villa in rovina sulle colline di Los Angeles; quasi un’eco di Sunset Boulevard. Celebre e felice il titolo italiano che non rende però giustizia al manipolo di gioventù tratteggiata da Nicholas Ray, soprattutto riguardando il film al giorno d’oggi. Dietro una mascherina patinata da pellicola Warner si nascondevano non giovani bruciati troppo presto, ma arrabbiati per più di una ragione. Quei giovani erano in grado di mettersi in gioco nei confronti del mondo e di se stessi, più di quanto non facciamo noi, quasi sessant’anni dopo.

Federica Marcucci

 

Dopo quasi sessant’anni il cult di Nicholas Ray torna in sala di prima visione, con una versione digitale restaurata. Vedere nel 2014 Gioventù bruciata al cinema significa riscoprire – o scoprire – un film legato indissolubilmente all’icona di James Dean, morto a 24 anni proprio nel 1955. La morte prematura dell’attore ha sicuramente contribuito a conferire un’aura di sacralità ad un film che, ancora oggi, viene considerato un classico senza tempo della cinematografia americana.
È interessante riscontrare come, nonostante sia passato più di mezzo secolo dalla sua realizzazione, il valore sociologico del film rimanga inalterato: il senso di inadeguatezza incarnato da Dean è più che mai attuale. Il fondersi di una miscela di sentimenti contrastanti, tipica dell’adolescenza, viene espresso in maniera vivida dall’attore, nel suo incedere incerto nella vita, con le spalle un po’ curve e un’espressione di curiosità irrequieta sul volto.
Ray ci mostra l’incomunicabilità tra due generazioni, utilizzando il celebre giubbotto rosso come simbolo di una ribellione che, ieri come oggi, pervade gli animi di molti ragazzi. Questi, proprio come Dean, vorrebbero smettere di sentirsi così confusi e soli. Fosse anche per un solo giorno.

Barbara Monti

 

Los Angeles, stazione di polizia. Un giovane di bell’aspetto barcolla ubriaco tra le mura del distretto. Si chiama Jim Stark (James Dean): ciuffo laterale, giubbotto di pelle e sigaretta in bocca. Emblema di una società malata, dove apparenza e solitudine camminano insieme, Dean diventa stereotipo, incarnando il tipico “ragazzaccio” dal cuore d’oro che tanto piace alle fanciulle di ogni epoca e di ogni età. Ad affiancarlo ci sono anche Judy (Natalie Wood) e John “Plato” Crawford (Sal Mineo), anch’essi perfetti nei loro ruoli. Un trio, questo, che rappresenta gli aspetti classici dell’età adolescenziale: paure, dubbi, angosce, smarrimenti.
Gioventù bruciata, con l’impeccabile regia di Nicholas Ray, è riuscito a raccontare questo, la storia di giovani alla ricerca di se stessi, in continuo conflitto con chi dall’alto non li comprende o li ignora. Incredibilmente attuale nelle sue tematiche, è un film che crea un legame intimo con lo spettatore, il quale si rivede proiettato sul grande schermo. Rivederlo con gli occhi di oggi provoca così gli stessi effetti empatici che si potevano provare nel 1955, anno in cui il film uscì.

Tiziana Moretti

 

Stazione di polizia: tre giovani, Jim, Judy e Plato, estranei tra loro ma con gli stessi problemi familiari, sono presi in custodia. La loro storia si svolge in 24 ore e li troviamo alla fine di nuovo insieme, legati per la vita.
Gioventù bruciata non esprime solo un conflitto generazionale di adolescenti in contrasto con il mondo degli adulti, va oltre il problema sociale, “a Ray interessano gli individui” (Rohmer).
Il regista stesso ammise un eccesso di sentimento e di aver reso il padre di Jim in modo troppo caricaturale. Alcuni giovani spettatori di oggi potrebbero perfino ridere nella scena in cui Dean vede il genitore indossare il grembiule da cucina. Noi no, la delusione sul suo volto e che colpisce il corpo come avesse ricevuto una coltellata, è ormai anche la nostra. Poco importa qualche ingenuità, siamo dalla parte dei film con un’anima.
La rabbia, il dolore estremo, la forza e la debolezza, due bocche rosse che si cercano in una sconfinata tenerezza, il desiderio di Judy e Plato di essere figli: l’ostinato bisogno di essere amati e l’intransigenza tipici della giovinezza aprono una breccia nel cuore. Nella scena finale, la tragedia e il rifiorire della vita.

Marcella Natale

 

Jim Stark è un adolescente ribelle che si mette nei guai nella sua nuova scuola e partecipa alla pericolosa “corsa del coniglio”, dove il suo “nemico” muore. Jim si nasconde con i suoi nuovi amici, Wood e Mineo, in un palazzo abbandonato, ma i problemi continuano. Il ritratto di una generazione ribelle, l’impronta d’autore di Ray e la successiva morte di Dean hanno fatto del film un classico.
Gioventù bruciata è un melodramma stilizzato, il rosso è il colore di questa generazione perduta (l’impermeabile e le labbra di Natalie Wood, il calzino di Mineo e la giacca di James Dean) che cresce nello splendore del dopoguerra in una piccola borghesia priva di figure adulte da “ammirare” – ad esempio, Mineo non guarda a Wood e Dean come due amici, ma come i nuovi genitori, mentre il più grande desiderio di Dean è riconoscere in suo padre un uomo al quale volere assomigliare.
Anche se alcuni dettagli (l’innocenza e la velocità con cui si sviluppano certi sentimenti) possono sembrare obsoleti, è un film che vale la pena rivisitare nella sua versione restaurata, sia per la forza dei suoi argomenti, sia per il suo linguaggio cinematografico, sia per la memorabile interpretazione del protagonista.

Sabela Rey Calo

 

Nicholas Ray sceglie il volto e il corpo da Actors Studio di James Dean per mettere in scena la solitudine e il tormento di una generazione che preferisce bruciare pur di non accettare l’ipocrisia e la falsa morale della famiglia e della società. E lo fa sfruttando al meglio la spettacolarità del Cinemascope e del Technicolor, consacrando così il mito di James Dean all’iconografia collettiva. Il titolo originale, Rebel Without a Cause, sintetizza bene l’idea del regista: il diciassettenne Jimmy Stark non rappresenta una vera rottura con il passato, è un ribelle senza motivo che chiede solo di essere accettato e amato. Franco La Polla scriveva: “Dean non vuole affatto rivoluzionare il mondo: al contrario, lo vuole nell’ordine in cui l’ha sempre conosciuto. Solo, ne vorrebbe fare parte anche lui”.
Visto sul grande schermo e in versione digitale restaurata, Gioventù bruciata resta un classico imperdibile nella storia del cinema, anche se non proprio un evergreen. I giovani che oggi si approcciano a vederlo o rivederlo devono necessariamente fare i conti con un passato recente e una generazione che ribelle lo è stata davvero, al cinema e fuori, rompendo con l’esperienza dei “padri” e cambiando per sempre l’immaginario giovanile.

Enrico Ruggeri

 

James Dean ci osserva per tutto il film: maglietta bianca, jeans, giubbotto rosso e un’espressione scanzonata che sembra prenderci in giro, accoglierci e respingerci allo stesso tempo, inafferrabile.
Gioventù bruciata, melodramma hollywoodiano di Nicholas Ray, torna in sala restaurato dalla Cineteca di Bologna. Dean incarna Jim Stark, un animo inquieto in costante conflitto con ciò che lo circonda. Trasferitosi a L.A. con i genitori, il ragazzo stringe amicizia con Judy e Plato ed entra in lotta con Buzz, a capo di una banda della scuola. I due si sfidano in una corsa d’auto che termina tragicamente con la morte di Buzz.
Uscito nel 1955 ed innovativo all’epoca per tematiche trattate e stile (l’utilizzo inatteso del colore, la sapienza di alcune inquadrature e le scelte di montaggio), il film affronta una questione senza tempo: lo scontro generazionale, l’incomprensione e il conflitto che, in epoche diverse e con dinamiche differenti, esistono tra il singolo, la famiglia e la società.
Gli occhi irrequieti, i movimenti bruschi e nervosi, il sorriso sghembo di James Dean, entrato nel mito alla sua ultima apparizione sullo schermo, ci regalano una delle interpretazioni più riuscite della storia del cinema, dove attore e personaggio sembrano fondersi e abitare lo stesso corpo. La recitazione di Dean è tesa e, come scrive Truffaut, imprevedibile, più animalesca che umana.
Seppure un po’ dolciastro in alcune sequenze romantiche per lo spettatore di oggi, la ribellione che ci racconta Ray rimane sempre attuale e rende Gioventù bruciata un classico da vedere e rivedere.

Caterina Sokota

 

Jim (James Dean) è giovane, incompreso e solo. È sempre in viaggio per volontà dei genitori poiché ovunque va a vivere lascia un segno della sua inquietudine. Conosce Plato (Sal Mineo), primo vero amico. Conosce Judy (Natalie Wood), primo vero amore. Insieme affronteranno, nell’arco di una giornata, insidie dettate da disagi adolescenziali e generazionali. Alle quali non tutti sopravvivranno.
Si infila come una spina nel fianco dell’America conservatrice di Eisenhower il film di Ray. Qualcosa cambia nel 1955. Non solo la battaglia dei neri per i diritti civili muove i primi passi grazie al famoso gesto di Rosa Parks sull’autobus in Alabama. Ma per la prima volta i giovani del tempo comunicano l’incomunicabilità con le generazioni a loro precedenti. Due anni dopo la provocazione di Benedek con il suo Brando selvaggio, Ray scava più a fondo. Non si ferma al mostrare Dean in jeans attillati, giacca rossa e t-shirt bianca. Ma carica il personaggio di tempra morale e coscienza trasformandolo in rotella impazzita nel meccanismo ben oliato di un’America fatta di bigottismi e di rifiuto delle problematiche giovanili. Ironicamente Dean ha più di una causa per essere ribelle.

Brando Sorbini (https://latanadelbrando.wordpress.com/)

 

Jim, nuovo in città, si fa nemica la banda di Buzz, a cui vuole soffiare la fidanzata Judy. La contesa si risolverà con la chicken run: due macchine lanciate verso un precipizio, perde chi si butta fuori per primo. Buzz rimane incastrato nell’abitacolo e si sfracella con l’auto; Jim, Judy e il timido Plato sono costretti a scappare dalla banda e dalla polizia. Nel ’55 non si era ancora visto niente di simile: ragazzi che rifiutano la serena esistenza garantita (imposta?) dalla middle class e si ribellano violentemente. E Dean si fa loro portavoce, loro simbolo, andando a prendersi un posto nella storia del cinema e del costume. Oggi il film rischia di apparire un po’ ingenuo, ci si può chiedere se sia autentica la sua carica eversiva, ma è solo perché così tante volte è stato imitato, o scimmiottato, che ci siamo abituati a quello che per primo ha mostrato. Non saranno mai messe in dubbio, invece, certe magie di Ray con la cinepresa, il lirismo sottile e ben dosato del racconto e un Cinemascope alla sua massima espressione.

Nicola Testa

 

Come suggerisce il titolo originale (Rebel Without a Cause), il film mira a cogliere una caratteristica della cultura giovanile degli anni Cinquanta: la rivolta priva di motivazioni sociali e politiche, volta esclusivamente a rifiutare la pretesa degli adulti di mettere a tacere le esigenze esistenziali e affettive dei giovani, mediante la soddisfazione dei loro bisogni materiali e culturali.
Le insicurezze e la dirompenza di questo nuovo malessere giovanile sono state espresse con particolare efficacia in alcune sequenze, grazie a un uso del Cinemascope e del colore molto innovativo per l’epoca: la lezione al planetario, la “corsa del coniglio”, il violento scontro di Jim con il padre, dopo la morte di Buzz. Per quanto apprezzabili, il ritmo serrato del montaggio e il ricorso a inquadrature soggettive mi sembrano meno incisivi dal punto di vista espressivo.
Il fattore decisivo del successo del film è stata però la scelta di James Dean, nel senso che mettendo in scena se stesso è riuscito a incarnare il disagio e l’inquietudine di un’intera generazione di suoi coetanei, in modo più diretto che negli altri due suoi film: La valle dell’Eden e Il gigante. Si tratta di uno straordinario processo d’identificazione, per la cui comprensione restano ancora illuminanti le annotazioni di Edgar Morin nel saggio I divi (1957).
Nonostante questi indubbi meriti storici, oggi Gioventù bruciata non appare più in grado di coinvolgere lo spettatore come in passato. Sia perché la sua visione della ribellione giovanile risulta troppo incentrata sulle carenze affettive e sul ruolo decisivo dei “buoni sentimenti”. Sia perché le innovazioni cinematografiche non riescono a riscattare le ingenuità di questa visione, ma al contrario ne sono sopraffatte, soprattutto nella seconda parte, in cui il film dovrebbe raggiungere un culmine drammatico: dalla fuga nella villa abbandonata fino alla morte di Plato e al “ravvedimento” dei genitori di Jim. Il distacco dello spettatore attuale non è dovuto però solo alla distanza temporale e alle differenze storiche della condizione giovanile, ma più specificatamente al fatto che il film resta ancora molto lontano dalla radicale rottura tematica e stilistica che si verificherà pochi anni più tardi con “il nuovo cinema degli anni ’60”: per convincersene basta confrontare Gioventù bruciata (1955) con Gioventù, amore e rabbia (1962) o con I pugni in tasca (1965).

Alberto Tovaglieri

 

Gioventù bruciata è il film della rabbia repressa che brucia nei cuori dei ragazzi ribelli contro i propri genitori. Il furore è uno dei componenti che nutrono la vitalità del capolavoro di Ray, che oggi è ricco di diversi contenuti culturali: il mito di James Dean ma anche la rappresentazione della crisi della classe media statunitense costituiscono i motivi per cui il film non può essere separato dalla sua epoca.
Dopo l’incidente in cui ha perso la vita il loro compagno di classe, i tre protagonisti (Dean, Wood e Mineo) vanno a nascondersi nella villa abbandonata. L’evento tragico forma una nuova comunità di adolescenti distaccati, che vengono rappresentati con comprensione da parte di Ray. Questo aspetto, insieme allo stile glamour hollywoodiano, trasmette un certo senso di nostalgia allo spettatore: quando gli attori erano vere superstar; quando le donne avevano un’acconciatura perfetta; quando gli innocenti e i carnefici erano facilmente distinguibili. In questo senso Gioventù bruciata ci riporta in questo mondo, indietro nel tempo.

Zorka Varga