Cinefilia Ritrovata non può esimersi dal ricordare Věra Chytilová, morta nei giorni scorsi a 85 anni, in quel di Praga. Meravigliosa e brillantissima esponente del nuovo cinema europeo, e in particolare ceco, con Margheritine aveva girato nel 1966 uno di quei film che, sia pure per lungo tempo misconosciuti, hanno rappresentato il senso e il segno di una svolta cinematografica. Visto che proprio nel 2013 il Cinema Ritrovato ne aveva presentato una bellissima versione, noi ripubblichiamo il bel saggio di Alberto Spadafora, che rifletteva anche sull’intera retrospettiva “ceca”. Segue.

“Alla luce odierna di un cinema in cui l’utilizzo della pellicola 35mm (proiettata a sua volta in copia 35mm) appare definitivamente tramontato, il 27° Festival del Cinema Ritrovato propone sette film appartenenti alla Nová vlna (la nuova onda del cinema cecoslovacco degli anni Sessanta da cui emersero, per dire, Miloš Forman e Jiří Menzel) che si pongono all’attenzione del pubblico cinefilo per la questione fotochimica della pellicola e della sua dichiarata resa espressiva.

La premessa alla sezione, titolata L’emulsione conta. Orwo e Nová vlna e curata da Mariann Lewinsky in collaborazione con Anna Batistová dell’Archivio Nazionale di Praga, risiede infatti nell’adozione negli anni dei vari tipi di pellicola importati nel Paese da ditte straniere. La pellicola negativa a colori usata in Cecoslovacchia fino a metà degli anni Sessanta è l’Agfacolor, prodotta a Berlino. Il desiderio di migliorare la qualità della resa positiva dell’immagine negativa spinge i tecnici cechi a cercare una nuova pellicola. La si individua a Lipsia, dove l’industria tedesca Original Wolfen -che una volta impiegava 15mila persone e che ancora oggi è attiva, col nome di Orwo Filmotec, ma con solo più 22 dipendenti- produce una gamma di pellicole 35mm tra cui la Orwo. L’utilizzo della pellicola positiva Orwo -combinata con il negativo della pellicola a colori Eastmancolor e con il negativo della pellicola in bianco e nero Kodak- si rivela per i giovani cineasti cecoslovacchi occasione funzionale sia alla sperimentazione tecnica sia all’eversione artistica: le opere filmate su pellicola Orwo mostrano oggi allo spettatore non solo la natura chimica della pellicola utilizzata, ma anche e soprattutto l’effetto lisergico tout cout provocato.

Il primo film proposto in rassegna è probabilmente il più esemplare: Sedmikrásky (tit. it. Margheritine, 1966) della regista Vĕra Chytilová, opera grottesca e sublime, pirotecnica e dolente, sulla generazione che da lì a poco avrebbe intrapreso la rivoluzione dei fiori.

Le due giovani e attraenti protagoniste -entrambe di nome Maria, una bruna l’altra bionda- alternano i bagni di sole lungo il fiume ai locali notturni, la camera da letto agli atelier di moda, così come la monotonia alla spregiudicatezza, la frustrazione allo svago. La regista solleva il sentimento di irrequietezza affidando al direttore della fotografia, Jaroslav Kučera, la procura di un provocatorio gioco ellittico cromatico. Le sequenze si susseguono infatti senza apparente legatura narrativa, laddove invece lo svolgimento dei quadri è costruito sullo straniamento visivo: di volta in volta le immagini sono virate in color seppia o abbacinate dai colori primari o azzerate nel bianco e nero. In alcuni casi, la continua ripresa del medesimo controcampo è restituita modificando la cromia del quadro. E così la direzione della fotografia si organizza in prima istanza nella peculiarità di utilizzo e dell’emulsione della pellicola -e non nel posizionamento della camera e delle luci sulla scena. La sarabanda cromatica -nella intentio della giovane regista cecoslovacca e sul solco della nuova cinematografia del suo Paese- suscita tutt’oggi reazioni bizzarre su cui fa leva la psicologia del colore. Fonte dichiarata -per chi scrive- è Della teoria dei colori che Goethe scrive nel 1810, in cui allo studio scientifico della percezione del colore affianca piuttosto la lettura cromatica in senso poetico, estetico, simbolico e psicologico.

Margheritine, il cui titolo richiama la ghirlanda di margherite indossata sulla testa della bionda Maria, suggerisce un’esperienza visiva che si introduce nei binari cinematografici dello sperimentalismo underground, coevo delle operazioni di Brakhage.

Con la sezione proposta si aggiunge un ulteriore prospettiva, trasversale, alla (ri)generazione della gioventù filmica della Nová vlna. Ossia si contribuisce alla conoscenza di un ciclo di visioni dove la pellicola utilizzata e il colore evidenziato sono elementi d’avanguardia, sia narrativi sia tecnici sia estetici. E ai fini della conservazione -e quindi del necessario restauro- ciò che si crede datato appare invece urgente e attuale. La sovversione ritrovata, alla luce odierna di un cinema in cui mancano il coraggio e l’ambizione”.       

Alberto Spadafora